Il gioco nella crescita del bambino
L’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite con la Risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989, riconosce il gioco come un “diritto” inviolabile ed insindacabile di ogni bambino.
Il gioco concorre di fatto allo sviluppo sociale, fisico, cognitivo ed emotivo sia dei giovani che dei bambini, ragione per cui dovrebbe essere garantita loro l’opportunità di sperimentarlo, certamente con tempi e modalità differenti, nelle diversi fasi della loro crescita. Tra gli elementi necessari per la maturazione psicofisica del bambino, il gioco occupa infatti una posizione fondamentale: è’ lo strumento per eccellenza attraverso il quale egli costruisce il significato del mondo ed impara a relazionarsi con gli altri.
Il gioco consente al bambino di sperimentare ed elaborare attivamente la rappresentazione della realtà esterna, di imparare a conoscere se stesso e il mondo circostante, e di iniziare a consolidare le prime forme di autocontrollo e di interazione sociale.
Le attività di gioco crescono e si modificano di pari passo con lo sviluppo intellettivo e psicologico del bambino, rimanendo comunque una tappa importante nella vita dell’uomo, a prescindere dall’età: il bisogno e il piacere di giocare permane difatti durante tutto il corso della vita, facilitando con modalità di volta in volta differenti, l’espressione delle proprie emozioni, il confronto con gli altri e il raggiungimento del benessere individuale.
Schiller (1759-1805) afferma che “L’uomo è pienamente tale solo quando gioca”: solo giocando, infatti, l’individuo riesce a liberare la propria mente da condizionamenti esterni; questo perché il gioco non ha altra finalità che il gioco ed è l’unica attività che viene scelta per se stessa e non in vista di uno scopo esterno.
Ma quali sono le principali caratteristiche del gioco che lo rendono così importante per lo sviluppo del bambino? Un elemento essenziale è la finzione, ovvero la possibilità di prendere le distanze dalla realtà con l’immaginazione; ma affinché venga definito tale, il gioco, deve essere anche:
- piacevole e divertente, ovvero vissuto in modo positivo da chi lo svolge,
- gratuito,
- limitato nello spazio e nel tempo,
- improduttivo, ovvero senza scopi particolari, se non il divertimento in sé,
- volontario (non deve esserci obbligo),
- basato su una motivazione intrinseca, poiché il gioco non ha bisogno di rinforzi.
Che significato assume il gioco per il bambino?
Il gioco per i bambini non è un passatempo, ma un lavoro, un’occupazione, è la loro principale attività ed è portatrice di una molteplicità di significati:
- divertimento,
- esplorazione (avventura, conoscenza e gestione dello spazio, scoperta di sé),
- attività liberatoria (da tensioni, paure, ansie, insicurezze ed aggressività),
- opportunità di apprendimento (favorisce lo sviluppo e l’esercizio di nuove competenze cognitive, socio-affettive e comportamentali) e di socializzazione,
- distacco temporaneo dalla realtà (permette al bambino di allontanarsi dalle regole imposte dalla vita reale per entrare in un mondo di fantasia in cui tutto è possibile). Ad esempio, giocando a “far finta di”, il bambino si allena a diventare grande, inizia ad interpretare ruoli diversi, acquisendo una maggior capacità di adattarsi al mondo circostante, di conoscerlo, padroneggiarlo e modificarlo.
Qual è il legame tra il gioco e lo sviluppo cognitivo?
Numerosi studi di psicologia infantile, già a partire dal 1940, hanno evidenziato come il gioco, sin dai primi mesi di vita del neonato, sia significativo per lo sviluppo intellettivo, poiché attraverso l’attività ludica, il bambino sorprende se stesso e nella sorpresa acquisisce nuove modalità per entrare in relazione con il mondo esterno.
Jean Piaget afferma che esplorando, manipolando e sperimentando, inizialmente il suo corpo e successivamente gli oggetti, il bambino impara a coordinare azioni e percezioni, comprendendone le prime connessioni causali. Mettendo in correlazione lo sviluppo del gioco con quello mentale, afferma che il gioco è lo strumento primario per lo studio del processo cognitivo del bambino e che esso rappresenta la “più spontanea abitudine del pensiero infantile”.
Non solo, il gioco stimola la memoria, il linguaggio, l’attenzione, la concentrazione, favorisce lo sviluppo di schemi percettivi e la capacità di confrontarsi e relazionarsi; ne consegue che una scarsa attività ludica può comportare nel bambino gravi carenze dal punto di vista cognitivo.
Piaget individua tre stadi di sviluppo del comportamento ludico:
- giochi di esercizio: caratterizzano il primo anno di vita (fase “senso-motoria”) e non sono altro che la ripetizione di schemi di comportamento motori o vocali osservati nell’adulto. Afferrando, dondolando o portando gli oggetti alla bocca, aprendo e chiudendo le mani, il bambino impara a coordinare i gesti e ad esercitare il controllo sui suoi movimenti.
- giochi simbolici: caratterizzano il periodo compreso tra i 2 e i 6 anni (“fase rappresentativa”), durante il quale i bambini sviluppano la capacità di rappresentare, mediante gesti o schemi appresi, una situazione non attuale. La capacità di immaginazione ed imitazione acquisita in questa fase, consente loro di riprodurre esperienze viste, ma non ancora sperimentate in prima persona.
- giochi con regole: compaiono tra i 7 e gli 11 anni (“fase sociale”), quando il bambino inizia a vivere il rapporto con gli altri. Tali giochi, richiedono la capacità di condividere e rispettare determinate regole della socializzazione tra pari.
Le varie modalità di gioco sono legate allo sviluppo emotivo del bambino e vanno modificandosi con la crescita, per questo sono rivelatrici del suo equilibrio psichico.
Si possono individuare 5 tappe:
0-1 anno: questa prima fase garantisce al bambino delle sensazioni che gratificano ed arricchiscono il Sé che pian piano va strutturandosi. I primi giochi del bambino coinvolgono il proprio corpo o il corpo della mamma, ma gli oggetti circostanti attraggono comunque la sua attenzione. Il carattere esplorativo e ripetitivo dei giochi che caratterizzano questa fase, serve al bambino per imparare a distinguere tra il Sé e il Non-Sé.
2 anni: il bambino inizia a prendere coscienza della separazione dalla madre, con conseguenti ansie d’abbandono. Il gioco può quindi diventare espressione di questa dinamica. In questa fase subentra quello che D. Winnicott chiama oggetto transazionale, ovvero, un oggetto offerto al bambino dalla principale figura di accudimento (in genere, la madre), la cui funzione è quella di rassicurarlo nel momento in cui la mamma non è presente. Successivamente, quando il bambino acquisisce la consapevolezza della figura materna e la capacità di tollerarne l’assenza, l’oggetto transazionale viene abbandonato.
3 anni: è l’età in cui emergono, secondo Freud, giochi che rivelano la dinamica edipica che il bambino affronta in questa fase. Compaiono i primi giochi di socializzazione: il bambino è interessato a giocare con i compagni e prova piacere nell’imitare il comportamento degli adulti.
4-5 anni: in questa fase i giochi sono espressione delle dinamiche interne che il bambino sta vivendo. Il gioco della bambola, del dottore o il gioco a nascondino, sono tipici di questa fase. Attraverso tali giochi il bambino può drammatizzare una punizione o proibizione subita.
6-10 anni: nell’età della fanciullezza, i giochi diventano di gruppo e con regole, permettendo al bambino di sperimentare lo stare con gli altri. Le regole garantiscono il buon funzionamento del gioco.
Qual è il ruolo dell’adulto nel gioco del bambino?
Se è vero che la capacità di giocare è innata nell’essere umano, è vero anche che la funzione dell’adulto, (genitore, educatore o insegnante che sia) è fondamentale in ogni tappa della crescita del bambino, quindi, anche nel gioco, specie nelle prime fasi dello sviluppo infantile.
Per porsi in relazione con i piccoli è indispensabile che l’adulto torni un po’ bambino, che abbandoni le sue rigidità ed entri in empatia con il suo piccolo partner, mostrandosi disponibile a prendere parte alle sue iniziative. Per i bambini, il gioco con i genitori, è un’importante occasione per costruire un legame di intimità: essi reagiscono con entusiasmo alla disponibilità della mamma e del papà al gioco, ne sono felici e ciò rafforza il loro senso di sicurezza e protezione. È indubbio che oggigiorno i ritmi frenetici imposti dalla nostra società e le molteplici attività che i bambini sono ormai abituati a compiere durante la giornata (sport, attività extra-scolastiche, ecc.) lasciano poco spazio da dedicare al gioco, ma è altrettanto vero che è soprattutto attraverso il gioco che passa la comunicazione profonda tra adulti e bambini, per cui è fondamentale attivarsi per ritagliarsi dei momenti in cui ritrovare assieme ai propri bimbi, il piacere del divertimento fine a se stesso.
L’adulto ha un ruolo importante anche nell’educazione al gioco, ovvero, nell’insegnare al bambino che per divertirsi non ha bisogno di utilizzare contemporaneamente tutti i giocattoli che possiede, che è importante saper selezionare e scegliere il gioco a cui dedicarsi in quel preciso momento; non è prioritario che il bambino abbia a disposizione una vasta gamma di giocattoli, è essenziale, piuttosto, che questi siano adatti alla sua età, che non precorrano i tempi, né ritardino le possibilità creative, ma che siano in grado di stuzzicare la sua fantasia e di soddisfare il suo bisogno di produrre, conoscere e condividere con gli altri. L’adulto può offrire il suo contributo anche soltanto predisponendo l’ambiente al gioco, ovvero, creando le condizioni ottimali per l’attività ludica, al fine di consentire al bambino di sperimentare e scoprire le sue competenze, di scaricare le sue tensioni e di esprimere le proprie emozioni. Con l’ambiente adatto il bambino potrà operare la “libera scelta” (Maria Montessori, in “Il segreto dell’infanzia”), senza l’opposizione dell’adulto e quest’ultimo potrà rilassarsi sul fatto che il bambino, in virtù di questo motivo di attrazione, lavoro e concentrazione, sarà occupato a costruire sé stesso e non a “scomporre” la casa.
Ma quali sono i benefici del gioco nella vita del bambino?
Secondo il terapista del gioco O. Fred Donaldson, un bambino a cui è stato permesso di sviluppare le risorse derivanti dal gioco, riceve molti vantaggi duraturi. Vediamoli nello specifico:
A livello sociale:
• aumento dell’empatia e della condivisione,
• creazione di modelli di relazione basati sull’inclusione, piuttosto che sull’esclusione,
• aumento dello spirito di gruppo,
• creazione di opinioni,
• sviluppo di competenze non verbali.
A livello fisico:
• aumentata efficienza del sistema immunitario, endocrino e cardiovascolare (a seguito della gioia che il gioco procura),
• diminuzione dello stress, fatica e depressione,
• aumento della gamma dei movimenti, della coordinazione, dell’agilità, dell’equilibrio e della flessibilità.
A livello emotivo e comportamentale:
• riduzione della paura, ansia, stress ed irritabilità,
• generazione di gioia, intimità, autostima e padronanza di se stessi,
• aumento della lealtà, della determinazione, della calma, della capacità di adattamento e dell’abilità di affrontare sorprese e cambiamenti,
• conforto in situazioni di sofferenza.
Alla luce di quanto detto, risulta chiaro il ruolo centrale che il gioco ricopre nel processo di sviluppo dei bambini: ne favorisce il benessere, la maturazione globale e la costruzione di un’identità solida.
Tutti ne riconoscono il valore (genitori, insegnanti, governi), eppure le opportunità di gioco continuano a diminuire: sono sempre meno le aree destinate all’attività ludica, minore è la libertà nello stare all’aperto e poco è il tempo per giocare durante l’orario scolastico (Guldberg, 2009). La domanda da porsi, a questo punto, è: cosa possiamo fare per promuoverlo? Certamente noi adulti, specie come genitori, possiamo fare molto, ad esempio “sacrificando” un po’ del tempo che dedichiamo ai nostri impegni (lavorativi e non), per impegnarlo nel gioco con i nostri bambini, guardando in prospettiva e “lavorando in previsione di”, poiché come afferma Riccardo Massa, filosofo dell’educazione e pedagogista,
“il gioco è realizzazione dei desideri, è addestramento, è rispetto di regole, conoscenza e negazione della realtà, è piacere ma anche norma, è progetto e esercizio”.
Scritto dalla Dott.ssa Sara Belli per Benessere4u