Laboratorio condotto dalla Dott.ssa Nicoletta Remiddi e dalla Dr.ssa Sara Belli
Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile. Ma arrabbiarsi con la persona giusta, e nel grado giusto, ed al momento giusto, e per lo scopo giusto, e nel modo giusto: questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile. Aristotele
La rabbia viene etichettata come un’emozione distruttiva che, in quanto tale, andrebbe evitata o repressa, soprattutto se a sentirla è una donna.
Le donne, infatti, non sono mai state incoraggiate a riconoscere i sentimenti di collera e a manifestarli apertamente; anche il solo “sentire” la rabbia le spaventa, poiché, culturalmente, l’immagine della donna “rabbiosa” viene respinta in maniera immediata.
Da qui la collera sommersa, o repressa, che spesso accompagna la vita di molte donne. In realtà, dietro la collera c’è sempre un dolore che a sua volta cela una ferita, talvolta recente, ma molto spesso antica che sanguina nuovamente ogni volta che qualcuno o qualcosa minaccia il nostro equilibrio.
Quando qualcuno ci attacca o ci ferisce fa si che il dolore recente si sommi a quello passato diventando insopportabile, andando a nutrire la rabbia e allo stesso tempo, alimentando l’aspettativa che sia l’altro, in relazione con noi, a salvarci curando la nostra ferita. Questo attacco al nostro sé ci porta verso due diverse modalità di gestione della rabbia, quella ESPLOSIVA e quella REPRESSIVA, altrettanto disfunzionali quando vengono utilizzate in maniera esclusiva.
Tuttavia, la rabbia è un’emozione che merita e deve essere vissuta perché se ego sintonica, ovvero in armonia con il nostro sé e funzionale all’ascolto dei nostri bisogni, ci segnala che qualcosa non va nella nostra vita e che dobbiamo occuparcene.
È proprio questa capacità di ascolto interno che nelle donne è compromessa perché implica necessariamente la separazione e la differenziazione dall’altro, anche se per pochi momenti.
Quando siamo arrabbiate infatti perdiamo infatti il nostro ruolo di madre, di figlia o altro, percependoci come “ sole” e questo è quello che spaventa di più le donne, portandole a far seguito allo sfogo della rabbia con lacrime e sensi di colpa, comportamenti che finiscono per contaminare e neutralizzare il significato stesso della manifestazione della rabbia, con il pianto, infatti non facciamo altro che depotenziare l’ “IO” sottolineando il “NOI” come prioritario.