Cosa cambia, in amore, tra il buttarsi e il lasciarsi andare

Cosa cambia, in amore, tra il buttarsi e il lasciarsi andare? Una riflessione nata dopo aver visto, casualmente, questa vignetta, che vi invito a guardare con attenzione, un po’ come se giocaste a “trova le differenze”.

Il salto nel vuotoIo ne ho trovate cinque:

  1. L’entusiasmo e l’audacia di lei, contro l’immobilismo di lui;
  2. La felicità nel sorriso di lei e la serietà sul volto di lui;
  3. Il movimento e la rincorsa di lei, verso il passo solo accennato in avanti di lui;
  4. La scomparsa di lei e la sorpresa di lui;
  5. Il rischio corso da lei e l’attesa passiva di lui.

La vignetta descrive una storia d’amore dall’epilogo infelice, con una lei che affronta un salto nel vuoto e un lui che, sorpreso, resta a guardare. Se è vero che l’amore è per gli audaci, possiamo esserlo tutti nello stesso modo?

Sul ciglio del precipizio si arriva dopo aver percorso un sentiero, più o meno accidentato, ciascuno con il proprio bagaglio di esperienze personali che predispongono o meno al rischio e quindi al salto.

C’è chi sceglie di buttarsi e salta. Audacemente osa. Senza porsi troppi interrogativi e tenendo lo sguardo fisso sulla persona aldilà del burrone. La lei della nostra vignetta tiene infatti gli occhi puntati su di lui e mai verso il basso, ad indicare un (apparente) poco interesse verso le caratteristiche strutturali del precipizio o verso le abilità necessarie per compiere il salto. Non si sofferma troppo sul rischio, ma lo accetta completamente, tenendo gli occhi rivolti verso l’obiettivo e questo infonde in lei una grande motivazione e un’altrettanto potente spinta all’azione. Capita spesso che siano le emozioni a governare pensieri e comportamenti, del resto come potrebbe essere diversamente quando si parla d’amore? In seduta, quando chiedo: «Cosa ti ha spinto a saltare?» mi sento spesso rispondere: «Ci devo/dovevo provare, altrimenti sarei rimasta con il dubbio e non avrei mai saputo come sarebbe potuta andare».

“Bisogna accettare il rischio dell’inverno, se si vuole amare la primavera”.
(Antoine de Saint-Exupéry)

C’è anche chi, al ciglio, non si avvicina proprio, preferendo rimanerne a distanza di sicurezza.
In relazione a questo, c’è un costrutto, in psicologia, che si chiama “IMPOTENZA APPRESA”, ovvero la convinzione che, se più e più volte qualcosa è andata male, andrà male anche stavolta, anzi andrà malissimo, quindi tanto vale non tentare. A questa generalizzazione si arriva quando, dopo aver cercato di cambiare il corso delle cose senza ottenere i risultati attesi e credendo che non esista alcuna soluzione, si getta la spugna e si cade in uno stato di passività che, però, impedisce di vedere le opportunità di cambiamento che si presentano. Se all’inizio infatti questo può sembrare utile e necessario come scudo dal dolore, in realtà, nel lungo termine, preclude tante possibilità di liberazione o cambiamento. Nella speranza di evitare il rischio, si rischia di rimanere lontani da quello che realmente si desidera.

Infine c’è chi, al ciglio del precipizio si ferma, calcola il rischio e decide se lasciarsi andare. Prendere un rischio calcolato vuol dire guardarsi intorno con attenzione, esaminando accuratamente gli aspetti positivi e quelli negativi e l’impatto che questi potranno avere sulla propria vita. Saper calcolare il pericolo fornisce un margine di controllo sulla situazione e consente un compromesso tra emozioni e razionalità. Posto che cuore e ragione hanno gli stessi diritti, la domanda da porsi quando si rischia non è se far prevalere l’uno o l’altro, ma capire cosa è meglio per se stessi in quel preciso momento.

E’ assodato che nella vita il rischio è qualcosa di quotidiano, con cui si convive ogni giorno e che è necessario correrne per arrivare dove si desidera arrivare, ma prima è sempre bene averne una visione d’insieme, per poterla poi confrontare con il bagaglio emotivo e relazionale che ciascuno porta con sé e con cui arriva a quello specifico precipizio, in quel preciso momento.

COME BACK SOONNella vignetta, la nostra lei non solo sembra non tenere conto delle caratteristiche strutturali del  precipizio e delle abilità necessarie per compiere il salto, ma sembra anche non considerare i comportamenti e le reazioni di lui. Un lui su cui ripone grande fiducia e a cui si affida, ma che all’apparenza non sembra attivarsi allo stesso modo. La sua espressione non rivela emozioni, non ci sono cuori sulla sua figura e la sua postura è statica. Muove un solo passo in avanti, un piccolo passo quasi accennato, ma non si sporge, non si protende in avanti, non allunga le braccia, né cerca di fermarla o di avvertirla. Guarda la rincorsa ed il salto di lei, ma non agisce, rimane a guardare fino alla fine, per poi portarsi una mano alla bocca in segno di sorpresa

Non sappiamo quali sono i pensieri che muovono la nostra lei, né le aspettative riposte nell’altro, a dispetto di quanto razionalmente l’apparenza indica. Capita spesso però, nel tentativo di rincorrere i propri desideri, di non riuscire a cogliere i segnali, anche quelli più espliciti.

Posto che dare fiducia implica assumersi la responsabilità dell’esperienza che si intende fare, anche quando questo include la possibilità di essere delusi, è da coraggiosi buttarsi anche in assenza di segnali dell’altra parte? Prima di affrontare il salto non sarebbe più opportuno aspettare che l’altro ci tenda una mano?

Articolo a cura della Dott.ssa Nicoletta Remiddi

 

 

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