Cibo ed emozioni nei disturbi alimentari

Cibo ed emozioni nei disturbi alimentari

Food is more than something to eat” (il cibo è più di qualcosa da mangiare)

… questo è il pensiero espresso da una ragazza ricoverata per anoressia nervosa presso una clinica inglese e riportato da Cuzzolaro (2004) come testimonianza del fatto che il cibo, per i soggetti con disturbi del comportamento alimentare, non è solo nutrimento, ma anche legame, identità, appartenenza, controllo.

Le evidenze riscontrate in letteratura suggeriscono infatti che i pazienti con disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia e binge eating disorder, altrimenti detto “disturbo da alimentazione incontrollata”), utilizzano la propria sintomatologia (la restrizione alimentare, le abbuffate alimentari o il vomito autoindotto) come indici della propria forza di volontà e della propria capacità di esercitare il controllo almeno in un ambito circoscritto della propria vita.

  • Restringere l’alimentazione può infatti dare l’illusione del controllo
  • Abbuffarsi contribuisce ad alleviare, anche se temporaneamente, le emozioni negative (la tristezza, la rabbia o la solitudine)
  • L’eliminazione del cibo (tramite purganti o vomito autoindotto) infine, può essere finalizzata a combattere la sensazione di disgusto e disperazione determinata dall’abbuffata.

Per le persone che soffrono di un disturbo alimentare, il cibo diventa quindi uno strumento per gestire emozioni fastidiose o dolorose, data la loro scarsa capacità di regolare in maniera adattiva le proprie esperienze emozionali (in particolare, quelle negative). Studi al riguardo dimostrano infatti che i sintomi dei disturbi alimentari rientrano in una categoria di strategie di regolazione emozionale disfunzionali.

Cosa si intende per regolazione emozionale?
Per regolazione emozionale si intende un insieme eterogeneo di processi attraverso cui l’individuo regola l’insorgenza, l’intensità e la durata delle proprie emozioni, in funzione dei propri obiettivi. Si tratta di una aspetto di quella che viene definita competenza emotiva ed implica, quindi, la capacità di provare ed esprimere diverse emozioni, di comprendere le proprie ed altrui e di regolarne l’intensità.

emotionLe differenze individuali nella gestione delle proprie emozioni, giocano un ruolo fondamentale sia in relazione al benessere individuale che all’adattamento sociale. La persona ben regolata è infatti in grado di generare nuove esperienze emozionali, di reinterpretare e modificare pensieri e situazioni potenzialmente angoscianti (“rivalutazione cognitiva”), di controllare i propri comportamenti impulsivi quando sperimenta emozioni negative e di rispondere alle richieste ambientali con un vasto repertorio di strategie socialmente accettabili; la disregolazione emozionale, invece, risulta associata a diverse forme di disagio, tra cui l’abuso di sostanze, lo stress, le condotte antisociali ed alcune psicopatologie.

Una strategia molto comune tra i soggetti con disturbi alimentari è la cosiddetta “soppressione emozionale” che, al contrario della rivalutazione cognitiva, va inibire l’espressione del vissuto emozionale, lasciandone invariata l’intensità e la qualità. Tale strategia, impedendo al soggetto di esprimere le emozioni che realmente prova, lo porta a vivere un senso di incongruenza tra il proprio comportamento e i propri sentimenti più intimi.
La crescente prevalenza dei disturbi del comportamento alimentare e dell’obesità nei paesi occidentali, ha sollevato molti interrogativi circa il ruolo che le emozioni giocano nell’insorgenza di tali problematiche.

Quella che viene definita alimentazione emozionale (in inglese, emotional eating), risulta molto comune nei soggetti con disturbi alimentari: essa si verifica episodicamente e non in maniera regolare, avviene segretamente e in associazione ad emozioni diverse in individui diversi. È caratterizzata da un massiccio consumo di cibi al alto contenuto calorico o di carboidrati; solitamente avviene in solitudine e a casa, piuttosto che fuori.

L’emotional eating è molto diffuso tra le varie classi sociali e tra i sessi ed è generalmente scatenata da emozioni negative quali, la rabbia, la depressione, la noia, l’ansia la solitudine.

L’assunto di base è che le emozioni negative inducono a mangiare, e che mangiando esse subiscano una riduzione (Macht, 2008). Un’ulteriore scoperta dell’ultimo decennio è che chi soffre di disturbi alimentari, in particolare di anoressia nervosa, può essere classificato come alessitimico.

In cosa consiste l’alessitimia?
alessitimiaLetteralmente significa “assenza di parole per le emozioni”; nello specifico si tratta di un disturbo che si manifesta attraverso una difficoltà nell’identificare e descrivere le proprie emozioni. L’alessitimia predispone il soggetto ad un’esperienza emozionale confusa e vissuta in maniera travolgente; ne consegue una scarsa comprensione dei significati associati alle emozioni e quindi un’incapacità di modularle in maniera efficace. E’ proprio a questo punto che i sintomi dei disturbi alimentari o il ricorso a strategie di regolazione altrettanto inadeguate (come la soppressione), si configurano come unica via di uscita da uno stato emozionale che risulta ingestibile in altro modo.

Alla luce di quanto detto, è chiaro che il lavoro terapeutico con persone con disturbi del comportamento alimentare, non può non prevedere un’esplorazione del mondo emozionale del soggetto, delle emozioni relative al rapporto con la propria famiglia, dei bisogni frustrati in età infantile, dei bisogni attuali e delle condizioni affettive che portano a mangiare in modo eccessivo/ restrittivo e a perdere il controllo del proprio peso corporeo.

L’obiettivo terapeutico è raggiungere una positiva accettazione di sé, basata non più sul peso o l’immagine corporea, ma su una visione della propria persona più positiva, sicura ed autonoma. Tutto questo può avvenire solo attraverso una profonda esplorazione del sé e il raggiungimento di una buona consapevolezza dei propri limiti, ma anche delle proprie risorse.

Scritto dalla Dott.ssa Sara Belli per Benessere4u

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