La morte fa spettacolo
Il dolore e la tragedia si vestono di paillettes e lustrini e la morte fa spettacolo
Finalmente, dopo tanto sfruttamento di dolore e tragedie, si inizia a parlare della spettacolarizzazione in Tv di contenuti come omicidi, stupri, e reati di vario genere. Ho avuto, infatti, l’occasione di leggere alcuni articoli rispetto all’ utilizzo smodato della cronaca nera, in particolare in televisione, come mezzo per aumentare gli indici di ascolto. Non possiamo non citare l’intervento di Fiorello, del 12 gennaio dell’anno corrente, che con estrema acutezza parla del problema: egli sottolinea come questi contenuti innanzitutto siano utilizzati in fasce orarie in cui molto probabilmente minori ed anziani, quindi fasce delicate degli utenti, possono essere davanti alla tv. L’attore, infatti, ci invita a riflettere su come ogni mattina ed ogni pomeriggio vengano scandagliati fatti di cronaca per ore ed ore, scendendo anche nei dettagli più raccapriccianti e dolorosi. Fiorello ci ricorda come questi orari fossero precedentemente destinati alla cronaca rosa ed al gossip (tematiche decisamente poco perturbanti e certamente di tono e contenuto più leggero), e invita a riportare i fatti di cronaca nera nei luoghi più idonei per essere trattati come Carabinieri, Magistratura e telegiornali, questi ultimi a patto che ne parlino con i dovuti toni. Mi è capitato, inoltre, nello studio di un medico, di imbattermi in un giornalino completamente incentrato sulla cronaca nera. Così mi sono trovata a sfogliare pagine e pagine di nauseabondi racconti su ogni crimine possibile, con dettagli da far accapponare la pelle, finendo con una sensazione di nausea per essere stata così esposta a tanto male, a tanto dolore, trattato in un modo così spettacolare, sgargiante, accattivante. Quello che più risalta, è che questi contenuti vengono presentati allo stesso identico modo del gossip: stessi caratteri cubitali e inchiostro sgargiante, foto giganti di primi piani dei protagonisti delle vicende (che forse è doveroso ricordare che in questo caso sono i volti di vittime di atroci crudeltà), stessi toni d’effetto. Insomma, le tragedie, il dolore, il caso di cronaca nera, tutto trattato allo stesso identico modo di un qualsiasi altro argomento.
Ed ecco servito lo spettacolo del dolore.
L’intervento di Fiorello ci invita a riflettere sul rischio di emulazione che può essere attivato in menti già fragili, e sullo stato di continua paura che si ingenera nelle fasce di età più deboli, che vengono perseguitate da contenuti noir. Ma perché questi programmi hanno tanto successo? Le radici della nostra curiosità vanno rintracciate nella nostra storia più antica, quando l’uomo primitivo aveva il bisogno di osservare gli altri per capire se esistesse un pericolo anche per la propria sopravvivenza. In alcuni articoli scientifici, infatti, si dimostra come questo spieghi il fatto che se vediamo un incidente siamo portati a guardare cosa succede. Viene da chiedersi, però, se non stiamo oltrepassando il limite della curiosità per scendere in una morbosa ed irrefrenabile corsa al particolare più scabroso. Di fatto, quello che maggiormente dovrebbe farci riflettere, è che alla violenza il nostro organismo si abitua: per non sentirsi minacciato ed adattarsi all’ambiente, un soggetto così continuamente esposto alla violenza, finisce per considerarla un fatto normale, un fenomeno che come un altro può accadere.
In questo senso credo che sia fondamentale riflettere sul fatto che, sì è giusto parlare di alcuni argomenti, ma certamente in una forma diversa, educativa, mettendo ad esempio in risalto le storie di coloro che hanno superato dei soprusi, parlando delle associazioni che si occupano di prevenzione e sostegno per le vittime di abusi di vario genere. Credo fortemente che le due modalità passerebbero messaggi completamente diversi, pur trattando lo stesso argomento.
Parlare della cronaca nera in modo così sfrontatamente dissacrante, ci abitua a pensare alla violenza come elemento imprescindibile nella vita di tutti i giorni, un fatto che molto probabilmente può accadere, con il rischio anche di farci sentire continuamente vulnerabili, senza altra via d’uscita che la resa, abituandoci a parlare o sentir parlare del dolore altrui con leggerezza e poco rispetto.
Informare le persone su come la violenza possa essere prevenuta, affrontata e sconfitta, questo restituisce alle persone il potere di azione, pone l’accento sul fatto che, qualora dovessimo subire un sopruso, potremmo avere delle risorse e dei mezzi per essere sostenuti e per poterci difendere. Inoltre, non dimentichiamo, che il dolore e l’elaborazione dello stesso, sono un fatto privato, così come la morte di un congiunto, tutti temi che hanno bisogno di una dimensione del privato, meno spettacolare, meno rumorosa, maggiormente intima.
Non possiamo pensare di parlare con gli stessi toni della tragedia di un hotel distrutto dalla forza della natura, e del nuovo fidanzato della soubrette di turno.
Questo insegna ai nostri ragazzi che tutto può essere utile a mostrarsi, ad avere un attimo di popolarità, anche il male, anche il proprio dolore, e che ogni mezzo è lecito pur di emergere. Come potranno avere gli strumenti per elaborare una delusione se tutto quello che accade importa soltanto se mostrato all’esterno? Come possiamo permettere alle nostre nuove generazioni di formarsi delle idee indipendenti su di sé e di accettarsi, se persino la tragedia va data in pasto al miglior offerente? Forse è arrivato il momento di interrogarci su questo, e dirci se stiamo dando alle nuove generazioni gli strumenti per capire i confini tra giusto e sbagliato, tra buono e cattivo, tra dimensione intima e privata e dimensione sociale.
Articolo a cura della dott.ssa Anastasia Zottino