Overlover: non posso vivere con te né senza te

“Non posso stare né con te né senza di te”, così recitava il poeta latino Ovidio, ed è da tale considerazione che prende avvio questo articolo: non si riesce più a vivere con l’altro perchè la relazione causa troppa sofferenza, ma è indicibile la paura che assale l’individuo al solo pensiero di perdere la persona amata.

Molto spesso, le relazioni amorose possono oscillare in questa ambivalenza affettiva, quando si ama qualcuno è normale aver paura di perderlo e spesso le incomprensioni causano sofferenza.

Tale  ambivalenza diviene però patologica quando raggiunge livelli estremi, quando amare diviene sinonimo di sofferenza e la presenza della relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza, la conditio sine qua non, aldilà della quale non sembra sia possibile vivere. In tal senso, la presenza dell’altro non è più una libera scelta, ma una questione di vita o di morte.

Questi sono i casi in cui si sta “amando troppo” e in cui possiamo parlare di Dipendenza Affettiva.

Il termine dipendenza affettiva comincia a diffondersi sulla scia del successo avuto negli anni ’70 dal libro di una psicologa americana, Robin Norwood, dal titolo “Donne che amano troppo”, anche se tracce più antiche risalgono al 1945, quando lo psicoanalista Fenichel, in un suo libro, introduceva il concetto di “amore dipendenti” per indicare quelle persone che ricercano amore allo stesso modo in cui altri ricercano cibo o droga.

Quali sono le caratteristiche della dipendenza affettiva?

Possiamo quindi dire che nella dipendenza affettiva ciò che viene sperimentato come amore diventa una droga. Esistono infatti caratteristiche comuni:

  • Ebbrezza: il soggetto prova una sensazione di piacere quando sta col partner, che non riesce ad ottenere in altri modi, il partner gli è indispensabile per stare bene;
  • Tolleranza: il soggetto cerca dosi di tempo sempre maggiori da trascorrere col partner, riducendo sempre di più il proprio tempo autonomo e i contatti con l’esterno;
  • Astinenza: il soggetto sente di esistere solo quando c’è l’altro, la sua mancanza lo getta in uno stato di allarme. Pensare la propria vita senza l’altro è inimmaginabile. L’altro è visto come l’unica fonte di gratificazione, le attività quotidiane sono trascurate, l’unica cosa importante è il tempo trascorso con l’altro.
  • Incapacità di controllare il proprio comportamento: il dipendente affettivo è consapevole dell’inadeguatezza dei propri comportamenti, ma è incapace di ammettere a se stesso di avere un problema e di smettere. In alcuni momenti acquista lucidità rispetto alla relazione, si rende conto che la dipendenza dall’altro non è sana per sé ma come per una droga non riesce a farne a meno e questo porta ad un incremento dei comportamenti ossessivi.

Inoltre, a tutto questo si aggiunge la paura ossessiva di perdere l’altro, di essere abbandonati, questa paura alimenta il bisogno di controllo sulla relazione che si esprime spesso attraverso gelosia e possessività, che aumentano ad ogni segnale negativo che si percepisce.

Da cosa è causata la dipendenza affettiva?

Da una prospettiva psicodinamica, la dipendenza affettiva affonda le sue radici nel rapporto con i genitori durante l’infanzia: le persone dipendenti da bambini hanno ricevuto il messaggio di “non essere degni d’amore”, che i loro bisogni non erano importanti. Solitamente queste persone vengono da famiglie in cui i bisogni emotivi sono stati trascurati in virtù dei bisogni materiali, la crescita poi copre la ferita, ma la lascia insanata.

Così i dipendenti scelgono un partner, riproponendo inconsapevolmente un ruolo simile a quello vissuto in famiglia, cercando di modificarne il finale. L’assenza della possibilità di sperimentare una sensazione di sicurezza durante l’infanzia, genera da adulti il bisogno di controllare l’altro. Si cerca cioè  attraverso l’altro di ritrovare quella sicurezza e salvare se stessi e guarire definitivamente quella ferita.

Il pensiero alla base è: “se mi impegno l’altro mi amerà come io desidero e sarò finalmente felice”.

Per mettere a tacere il proprio vuoto affettivo la persona investe tutte le sue energie sull’altro, sui suoi bisogni, negando così i propri.

Ma chi sono i partner dei dipendenti affettivi?

Chi si avvicina ad un dipendente affettivo ha lo stesso deficit, ma lo nega,  scappa dalla relazione, rendendosi in questo modo ancora più interessante agli occhi del dipendente affettivo.

La dipendenza si fonda sul rifiuto, sulla negazione di sé, sul dolore insito nelle difficoltà della relazione e aumenta in proporzione inversa alla loro irrisolvibilità.

Il dipendente elemosina amore, insegue, implora; l’evitante rifiuta, manda a se stesso e all’altro il  messaggio che lui può fare a meno della relazione. Entrambi sono bisognosi, ma chi riesce ad implorare amore è capace di dare sfogo al suo vuoto affettivo, è più in contatto col suo sentire. L’evitante non è in grado di entrare in contatto con il proprio bisogno, lo nega e teme di essere inghiottito dalla richiesta dell’altro che gli appare troppo grande.

In ogni caso ciascuno resta fisso sul proprio bisogno e non vede l’altro, ad entrambi sembra di non poter più vivere né insieme né in assenza dell’altro.

Si può uscire dalla dipendenza affettiva?

Il problema principale nella risoluzione delle dipendenze affettive, come in tutte le dipendenze, è l’ammissione di avere un problema e la paura del cambiamento.

La difficoltà in tale individuazione risiede nei sottili confini che esistono tra ciò che in una coppia è considerato “normale”e ciò che invece diviene dipendenza.

Certo il mito dell’ amore romantico, esaltato dalla nostra cultura, non aiuta perchè propone rapporti distruttivi come relazioni da sogno, inculca falsi miti sull’ amore come quello secondo cui l’amore è unicamente simbiosi, che ciascuno è una metà da completare, che se ci impegniamo l’altro cambierà, che l’amore può salvare chiunque, che l’amore è sacrificio e sopportazione.

E’ normale che in una relazione (in particolare durante la fase dell’innamoramento) ci sia un certo grado di dipendenza, il desiderio di fondersi con l’altro, ma questo desiderio fusionale con il progredire della relazione tende a diminuire e l’altro recupera un certo grado di autonomia.

Nella dipendenza affettiva, invece, il desiderio fusionale perdura inalterato nel tempo, anzi il dipendente riesce a star bene solo se fuso con l’altro, senza l’altro non si esiste.

Il sintomo più evidente della presenza di una dipendenza affettiva è quindi il grado di perdita di autonomia della persona al di fuori della relazione.

Uscire dalla dipendenza affettiva è difficile ma non impossibile.

Il primo passo consiste nell’ammettere di avere un problema e chiedere aiuto.

Spesso il dipendente affettivo è disposto a iniziare un percorso di cambiamento solo nel momento in cui arriva a toccare il “fondo”, la disperazione, solo a quel punto è in grado di abbandonare la “speranza” che le cose potranno cambiare, assumendo su di sé la piena responsabilità della propria felicità.

I dipendenti affettivi dovranno arrivare a comprendere che possono e devono scegliere come vivere, che la possibilità di cambiare è legata fortemente al modo di pensare e di percepire se stessi e che “non c’è amore sufficientemente capace di colmare il vuoto di una persona che non ama se stessa”(Irene Orce)

L’amore per se stessi è il primo importante passo verso l’amore autentico per l’altro.

Articolo di Sonia Pignataro

BIBLIOGRAFIA

Canovi A.G., (2013).” Relazioni dolorose” consultabile sul sito  amoredipendente.com

Castellano R., Velotti P., Zavattini G.C., (2010). “Cosa ci fa restare insieme”, Aspetti della Psicologia, il Mulino, Bologna.

Norwood R., (1989). “Donne che amano troppo”, Saggi, Universale Economica Feltrinelli, Milano.

Pescina D., Cincinnato I., (2011). Love Addiction: l’amore oltre l’amore. Profiling, anno 2, vol 4.

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