Madri e figlie: quando la rivalità diventa distruttiva
Se è vero che il rapporto tra padri e figli maschi è estremamente complesso e delicato, quello madre-figlia non è certamente da meno. Tale relazione, infatti, nonostante venga associata all’archetipo della madre amorevole e sempre presente, delle volte è connotata da un’intensa rivalità e da sentimenti spesso contrastanti. La madre di per sé svolge un ruolo ambivalente, poiché infonde sicurezza, ma allo stesso tempo rende dipendenti e se questo è vero per i figli in generale, lo è ancor di più per le femmine in virtù dell’identità di genere che rende il loro rapporto ancor più intimo.
La gelosia, ad esempio, è un’emozione che può essere presente in tale relazione, manifestandosi con sfumature di diversa intensità, in momenti diversi e in direzioni oppos
te (da madre a figlia e da figlia a madre).
Durante l’infanzia, la bambina, dipendente dai genitori e con un corpo ancora immaturo, vede la propria madre come la più bella del mondo e nutre ammirazione per lei, una donna autonoma e che possiede tutte le caratteristiche fisiche della femminilità; in questa fase, la figlia può provare rivalità nei suoi confronti, ma è consapevole di non essere abbastanza forte per imporsi. La madre, invece, percepisce ancora sua figlia come un prolungamento di sé.
Verso i 12-13 anni, con l’arrivo dell’adolescenza, la figlia scopre la sessualità, diviene più femminile nell’aspetto e sente il bisogno di prendere le distanze da quella figura che fino ad allora ha costituito per lei un modello, come donna, amica, moglie, persona al mondo. Anna Oliverio Ferraris, psicoterapeuta e scrittrice, sostiene che questo sia il momento del “passaggio di consegne”, quello in cui, se la madre è in grado di accettare che la figlia sta crescendo e maturando per divenire anche lei una donna, quel po’ di gelosia mista al rimpianto per
la propria giovinezza, può trasformarsi in un sentimento di orgoglio.
La psicanalista francese, Caroline Eliacheff, ritiene che per le adolescenti, un momento di grande conflittualità con la madre è in molti casi necessario per la crescita, per poter abbandonare le vesti di bambina ed indossare quelle di giovane donna.
Ma se è vero che l’ambivalenza dei sentimenti è una presenza naturale di ogni relazione, inclusa quella tra genitori e figli, è altrettanto vero che in alcuni casi gli effetti della gelosia materna possono essere devastanti. Il rischio è quello di crescere con una madre che non sopporta che la propria bambina stia fiorendo fisicamente e psicologicamente e che si ostina ad inseguire la propria giovinezza ad ogni costo, entrando inevitabilmente, e spesso inconsapevolmente, in competizione con la figlia.
“Puer aeternus” è l’espressione coniata dalla lingua latina per descrivere, a livello psicologico, un adulto la cui vita emotiva è rimasta ferma all’adolescenza (“sindrome dell’eterna giovinezza”). In questo ambito, ci riferiamo a quelle madri egocentriche e narcisiste, spesso ultraquarantenni, che cercano in tutti i modi di fare le amiche, che pensano e vivono come le figlie e che vorrebbero “fermare il tempo”, non accettando che queste ultime possiedano ciò che loro, ormai non più giovanissime, sono in procinto di perdere o hanno già perso; la figlia, quando avverte tale rivalità, per non ferire quella donna che tanto ama e per non entrare in conflitto con lei, può arrivare a “rifiutare la propria femminilità”, sviluppando sentimenti di insicurezza e dipendenza, a totale discapito della sua autonomia. In altri casi, la giovane donna può mettere in atto, in modo inconsapevole, dei meccanismi di difesa, ovvero atteggiamenti di invidia, svalutazione e disprezzo verso la madre, volti essenzialmente a ridimensionare quella figura idealizzata e percepita come irraggiungibile; altre volte ancora, infine, può sentirsi in colpa o divenire oggetto delle colpevolizzazioni materne, a causa le emozioni contrastanti provate nei suoi confronti.
Anche una figlia adolescente può provare un sentimento di rivalità nei confronti di sua madre, ma si tratta di una rivalità funzionale alla sua crescita e quindi più sana di quella che un madre, non più giovane, può nutrire nei confronti della giovane.
In psicoanalisi, il termine che si utilizza per descrivere il rapporto di amore-odio tra madre e figlia, responsabile nel lungo termine della sua rovina, è “ravage”, ossia “devastazione”, una devastazione tale da indurre molte figlie a decidere di andare in terapia. Parliamo di figlie continuamente criticate e svalutate, che invece di ricevere dalla figura materna un riconoscimento ed una valorizzazione della loro immagine (“sei brava, sei intelligente, ti voglio bene indipendentemente da…”), arrivano a pensare che l’amore genitoriale debba essere meritato e quindi, che si debba necessariamente fare qualcosa di bello o buono per guadagnarsi ammirazione ed affetto. Il risultato è che la madre finisce per essere concepita come una donna che tiene per sé, incapace di dare e di dispensare amore gratuitamente, innescando un circolo vizioso fatto di litigi, incomprensioni, pianti, vittimismi e dolore.
Le figlie di donne narcisiste si convincono di non meritare la bontà delle loro madri, di “non essere abbastanza” e quindi, non essendo “amabili”, di non poter essere oggetto di alcuna invidia o gelosia. Peter Schellenbaum la chiama “ferita dei non amati”, una ferita che resta
a lungo scoperta e dolorosa, che costituisce l’impronta di un bisogno d’amore “gratuito” rimasto inappagato e che inevitabilmente finisce per condizionare la costruzione di relazioni future.
E’ ovvio che una situazione emotivamente così complessa non può che incidere negativamente sullo sviluppo dell’autostima della giovane donna, la quale, non sentendosi appoggiata nella sua essenza, difficilmente riuscirà ad individuarsi e sentirsi una persona completa. È bene comunque sottolineare che quello che appare come un atteggiamento sadico da parte delle madri, è in verità molto spesso un’inettitudine, una difficoltà a ricoprire un ruolo femminile e materno sano, non di rado, a causa di ciò che loro stesse hanno subito in relazione alle proprie madri. Se non vi è un’elaborazione del proprio passato, infatti, è altamente probabile che le figlie che si sono sentite svalutate dalle loro madri, arrivino poi a svalutare le proprie figlie.
Alcuni autori in letteratura sostengono che la gelosia materna nei confronti della figlia sia mal interpretata o che si sviluppi solo in casi rari, ma è fondamentale fare una distinzione tra quella che è una “rivalità sana”, funzionale alla chiusura di un ciclo e all’inizio di uno nuovo nella relazione tra le due donne ed una “gelosia anormale”, velenosa, tipica delle madri centrate su di sé.
La dott.ssa Oliverio Ferraris afferma “una figlia antagonista della madre mira alla propria indipendenza, una madre antagonista della figlia ne invidia la giovinezza che ha l’impressione le venga rubata”.
Ammettere a se stessi di provare dei sentimenti spiacevoli verso un’altra persona, specie se quella persona è la propria figlia, non è certamente facile ed il rischio della mancata consapevolezza di tale dinamica è che, in una sorta di trasmissione transgenerazionale, si crescano delle figlie che, anche in età adulta, continueranno a sentire dentro di sé una parte arida, mai nutrita da quell’amore gratuito che solo una madre sa dare.
Articolo a cura della dott.ssa Sara Belli