La bigenitorialità: dinamiche ed aspetti psicologici sottostanti

La bigenitorialità: dinamiche ed aspetti psicologici sottostanti

Nella vita di ciascun individuo, poche altre esperienze come quella generativa, sono in grado di segnare profondamente e in modo indelebile la storia personale e di coppia. Il passaggio alla genitorialità comporta la ricerca di un nuovo equilibrio, un bilanciamento tra l’assunzione del nuovo ruolo, gli impegni lavorativi e quelli familiari, rappresentando quindi un compito evolutivo cruciale per la vita dei partner. In tale contesto, la capacità di negoziare ruoli e responsabilità genitoriali, non solo sarà uno dei fattori predittivi della soddisfazione coniugale, ma promuoverà lo sviluppo psico-fisico del bambino, specie nei primi anni di vita.

mamma e papàL’attuazione di una cura genitoriale responsabile e condivisa, dipenderà quindi dalla capacità di ciascun genitore di “integrarsi” con l’altro, pur svolgendo, allo stesso tempo, una funzione distinta, dal momento che è oramai assodato che le interazioni madre-figlio e padre-figlio si differenziano tra loro.

A pochi mesi dalla nascita, difatti, il neonato è già in grado di distinguere la figura materna da quella paterna, sperimentando sensazioni fisiche diverse a contatto con l’uno piuttosto che con l’altra. La madre ha l’essenziale funzione di fornire al bambino una base sicura, che si realizza assicurandogli, sin dalla nascita, affetto, dedizione e cure costanti ed adeguate, al fine di farlo sentire protetto. L’interiorizzazione da parte del piccolo dei comportamenti materni e dell’amore che essa è stata in grado di trasmettergli nei primi anni di vita, renderà quella base una struttura interna capace di consolarlo e rassicurarlo lungo tutto l’arco della sua esistenza. Non solo, attraverso il gioco e le intmammaerazioni che ruotano attorno ad esso, la madre stimola il dialogo e lo sviluppo dell’autostima e, sebbene non incentivi direttamente l’autonomia, essa rappresenterà sempre “un porto sicuro” dal quale il figlio potrà partire, proprio perché certo di potervi tornare.

papàParallelamente, il padre, con la sua presenza ed il suo modo maschile di muoversi e giocare, offre al figlio la possibilità di riconoscerlo e differenziarlo dalla figura materna: da subito esso ricopre importanti funzioni ed il suo ruolo va osservato in particolar modo all’interno della triade, poiché una sua caratteristica fondamentale è proprio quella di fungere da “mediatore” nel processo di separazione madre-bambino. Giovanni Bollea (padre della moderna neuropsichiatria infantile) afferma che nei primi anni di vita, il bambino porta avanti il suo continuo lavoro di adattamento al mondo esterno prevalentemente attraverso la figura paterna, imitandolo ed accettandone o meno le imposizioni; non solo, il padre si delinea come una figura insostituibile negli equilibri educativi, nella formazione dell’identità, nello sviluppo dell’autostima e nell’orientamento sessuale del piccolo. La costruzione di una relazione significativa, sicura e costante con la figura paterna, favorisce quindi sia lo sviluppo emotivo del bambino, sia il suo adattamento sociale.

Ne consegue che, contrariamente alla tradizionale descrizione data dalla letteratura psicologica, il padre non si configura più unicamente come detentore di valori, algido ed estraneo ai bisogni dei figli, ma come una figura pienamente coinvolta nell’interazione con loro. Indubbiamente, le mutate condizioni socioculturali degli ultimi decenni, hanno avuto un grande peso nella ridefinizione del ruolo paterno, si pensi all’elevato accesso delle donne al mondo del lavoro, uno dei fattori maggiormente correlati al coinvolgimento attivo dei padri nella cura e nell’educazione dei figli; parallelamente, il forte incremento dei casi di separazione e divorzio, ha fatto sì che un numero sempre maggiore di papà, si ritrovasse a far fronte a compiti di accudimento che un tempo erano prerogativa delle mogli.

Alla luce di questo, il delicato e complesso principio della bigenitorialità, negli ultimi anni tanto citato e discusso rispetto ai casi di separazione coniugale, appare quindi ascrivibile anche alle coppie coese, proprio perché anche in queste è fondamentale che vi sia una pariteticità nella crescita  dei figli.

Ma cosa si intende per bigenitorialità?

Parliamo di un principio consolidato da tempo in altri ordinamenti europei, presente anche nella “Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia” (New York, 20.11.1989), in cui si definisce il minore come soggetto di diritti e non solo quale destinatario di protezione e tutela; in tal senso viene quindi ribadito ed ufficializzato il fatto che i figli debbano ricevere affetto, educazione e cure da entrambi i genitori. In Italia, la legge 54/2006 riconosce il principio della bigenitorialità attraverso “l’affido condiviso”, per i figli di coppie separateL’art. 337 ter del Codice Civile cita testualmente: “Il figlio minore ha il diritto di mantenere il rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare i rapporti significativi con gli ascendenti e con i propri parenti di ciascun ramo genitoriale”. Ascolto del minore. Tra esigenze processuali ed esigenze di tutelacopertina

Tale principio, non implica che il minore trascorra lo stesso tempo con entrambi i genitori, ma che questi partecipino attivamente al progetto educativo, di crescita e di assistenza della prole, in modo da creare un rapporto equilibrato che in nessun modo risenta dell’evento “separazione”. Ovviamente spetta al giudice valutare la rispondenza o meno dell’affidamento condiviso nell’interesse del minore, ma in linea generale, la sua scelta ricadrà sulla monogenitorialità solo qualora, a seguito di un’accurata valutazione del caso, egli ritenesse l’affido condiviso come un ostacolo alla crescita serena ed armoniosa dei figli.

Ciononostante, le disposizioni sulla carta non garantiscono che la coppia genitoriale continui a collaborare o che inizi a farlo dopo la fine del matrimonio, del resto l’esercizio di una “genitorialità reciproca” implica un grande impegno emotivo da parte di entrambi i genitori e la capacità di mettere al primo posto il benessere dei figli, al fine di proteggerli dagli effetti negativi della rottura della famiglia, anche quando gli ex coniugi preferirebbero non avere più nulla a che farimages (1)e l’uno con l’altro.

La verità è che l’evento separazione mette in pericolo un intero sistema di relazioni e di ruoli ben stabiliti, per cui, ripristinare gli equilibri, può risultare davvero complesso e faticoso. Numerose sono oramai le ricerche scientifiche a livello internazionale che inducono a considerare inequivocabilmente gli effetti benefici del mantenimento di una co-genitorialità. Tra questi:

  • lo sviluppo cognitivo: è stato dimostrato che figli cresciuti da entrambi i genitori, seppur separati, ricevendo un’educazione multipla e condivisa, hanno uno sviluppo cognitivo potenzialmente più elevato rispetto ai figli cresciuti da un solo genitore;
  • lo strutturarsi della personalità: il bambino cresciuto da due personalità differenti ha la possibilità di confrontarsi con due modelli, due esempi differenti e di scegliere quindi, cosa assorbire dall’uno, piuttosto che dall’altro.
  • la qualità del legame affettivo: un figlio che subisce l’allontanamento di uno dei genitori, può sviluppare dentro di sé un forte senso di insicurezza che potrebbe estendersi anche rispetto al genitore presente. In un quadro simile, il minore, avendo come unica fonte di appoggio il genitore affidatario, potrebbe maturare un forte timore di perderlo e piegarsi quindi totalmente al suo volere, creando con esso un legame affettivo succube e sottomesso, in grado di compromettere non solo lo sviluppo emotivo del bambino, ma anche e soprattutto la costruzione della sua personalità, identità e indipendenza.

Unitamente a questo, degli studi condotti in America e Gran Bretagna su alcuni riformatori minorili, hanno rilevato che la famiglia monogenitoriale è spesso propulsore di condotte delinquenziali nei giovani, nonché di comportamenti a rischio quali l’abuso di sostanze, i disturbi alimentari, il bullismo, la sessualità precoce (con connesse gravidanze precoci), l’abbandono della scuola e la prostituzione.
Uno dei maggiori rischi connessi alla mancata accettazione dell’affido condiviso, è che i figli vengano usati come strumento di vendetta nei confronti dell’ex-coniuge: in casi estremi, il pericolo è che si incorra nella PAS (Parental Alienation Syndrome – Gardner), una sindrome che insorge in merito all’affidamento della prole, caratterizzata dall’azione di screditamento agli occhi del figlio da parte di un genitore, in genere quello collocatario/affidatario verso l’altro e mirata all’esclusione di quest’ultimo, senza che vi sia alcuna reale giustificazione. Non sempre il genitore annullante (alienante) è mosso da intenzioni coscienti nel riportare al figlio in modo negativo e ingannevole l’altro genitore, ma il rancore nei confronti di una persona considerata come la rovina della propria felicità, è spesso difficile da nascondere, specie se si sente di non avere più nulla da condividere con essa, nemmeno l’amore per il proprio figlio. Il bambino manipolato finisce così per dare forma concreta alla tesi del genitore programmante in modo attivo, ovvero, disprezzando egli stesso il genitore screditato e mostrando nei suoi confronti atteggiamenti ostili, fino al rifiuto della relazione con lui.pas si

Ne consegue che l’elemento patologizzante, nelle vicende separative, non è tanto la separazione in sé,  ma il tipo e la qualità di relazione che caratterizza le coppie che scelgono di lasciarsi e che investe, di conseguenza, i minori: il fattore preoccupante è quindi principalmente connesso alla perdita di un genitore, spesso del padre, e di conseguenza alla deprivazione delle funzioni genitoriali che gli competono. 

Molti sostengono che l’affidamento condiviso equivalga a tagliare in due il bambino, ma la verità è che i figli, essendo composti dalla dualità del padre e della madre, si sentirebbero “divisi a metà” se fossero costretti a rinunciare ad una di queste parti. Tuttavia, la bigenitorialità, intesa nel suo significato più profondo, resta quasi del tutto inapplicata e senza sufficienti tutele per il rispetto del suo principio fondamentale. Affinché questo possa cambiare, è necessario che il procedimento giudiziario e quello psicosociale, interagiscano tra loro, promuovendo interventi di prevenzione e sostegno alla genitorialità, quali la mediazione familiare, il counseling genitoriale o i gruppi di auto mutuo aiuto, al fine di aiutare le coppie a separarsi senza fare troppo rumore, riorganizzando la vita di tutti in modo costruttivo.

«La cosa migliore è continuare a essere genitori in team, anche se si considera irrisolvibile il conflitto coniugale – spiega Alberto Pellai – Il bambino deve sentire che mamma e papà si lasciano, ma non lo lasciano, che hanno dei progetti per lui».

Articolo a cura della Dott.ssa Sara Belli

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