Tutti pazzi per i Selfie: moda passeggera o abuso?

Farsi un selfie al giorno d’oggi, ovvero scattare una fotografia da soli, è divenuto comune tanto quanto mandare un messaggio o fare una telefonata. Arriviamo in un posto, ci piace e quasi per inerzia prendiamo il telefono, scattiamo un selfie e lo condividiamo sui social.

Questo comportamento, qualche tempo fa, era considerato l’eccezione alla regola. Una volta si chiedeva ad un passante di scattarci una foto, farla da soli era considerata l’ultima opzione possibile.

Oggi invece il selfie fa tendenza, è di moda.

Scattiamo selfie in ogni momento della giornata: prima di andare a lavoro, in macchina, in ufficio, in palestra, per strada, al ristorante, in compagnia del nostro animale domestico, in pausa pranzo, persino in bagno o prima di dormire. Il selfie è diventato così comune e diffuso che ha cambiato anche il modo di rapportarci alla nostra immagine e all’accettazione di essa.

Esistono tantissimi filtri e app per modificare parti del nostro aspetto e permetterci di apparire come desideriamo agli occhi altrui.

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Ma come ci ha cambiato veramente questa tendenza?

Piu che cambiare il nostro aspetto esteriore, l’abitudine e l’impulso a farci dei selfie alterano alcuni aspetti della nostra vita a livello sociale:

  • in primis, i selfie e il desiderio di condivisione con il mondo social, ci portano a mettere in standby le esperienze che stiamo vivendo: che si tratti di un paesaggio da ammirare, di una serata in compagnia di persone care o di un momento libero per noi stessi, scattarci una foto, modificarla e postarla, portano a mettere in pausa noi e le persone che ci circondano, estraneano e ci inducono a guardare molte esperienze attraverso una lente piuttosto che a viverle realmente; a giudicare un avvenimento importante o meno sulla base degli apprezzamenti ricevuti in rete e non delle emozioni che ci ha fatto realmente provare.

    Uno studio condotto dagli psicologi dell’Università di Birmingham, nel Regno Unito, ha infatti dimostrato che le persone che si fanno più selfie tendono ad avere relazioni di scarsa qualità con coloro che li circondano. Tutto è più superficiale e basato sull’immagine, invece che sull’intimità, sulla generosità o semplicemente sull’affinità personale.

  • Il selfie è spesso usato come una sorta di proiettore sul mondo esterno, un avatar della persona che vorremmo essere a livello fisico, emotivo e sociale. La tendenza è quella a proiettare un’immagine di se stessi che non sempre corrisponde al vero. Alle immagini che ci ritraggono accompagniamo quasi sempre delle frasi tese a farci apparire in un certo modo, a veicolare messaggi su cose che pensiamo o abbiamo visto, ma che non necessariamente ci appartengono. Altre volte, alle foto si accompagnano numerosi hashtag come #likeforlikes #tagsforlikes #follow4follow il cui unico obiettivo è raccogliere consensi sociali e apprezzamenti.

Quali implicazioni ne derivano?

Tutti questi comportamenti mostrano una propensione all’accrescimento del proprio ego, sono il riflesso di tendenze basate sull’egocentrismo. Qualsiasi cosa accada, ogni avvenimento, persino un messaggio ricevuto sul cellulare, il compleanno di una persona cara non iscritta a canali social, possono diventare motivo per far parlare di sé, sentirsi apprezzati. L’apprezzamento sociale può generare un incremento di tale comportamento, generando così dei circoli viziosi. Si tratta però di un’autostima incrementata artificialmente, la quale non tiene conto di altri fattori di personalità.

Quanto siamo presenti a noi stessi quando facciamo dipendere la nostra autostima, l’accettazione e il nostro valore dai consensi sociali ottenuti rispetto ad un’immagine alterata di sé?

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La scienza parla di Selfite

L’abitudine a fare autoscatti può diventare una vera e propria ossessione che va al di là del desiderio di seguire una semplice tendenza. Senza dubbio, come in tutti i fenomeni di massa, anche nel selfie gioca un ruolo fondamentale il seguire le mode (spesso lanciate da personaggi famosi, come in questo caso) e il fare quello che fanno tutti gli altri semplicemente per spirito di emulazione.
Questo aspetto è innegabile, ma c’è anche una spiegazione psicologica, un po’ più profonda: i selfie esprimono il bisogno di autoaffermarsi, di raccontare agli altri, attraverso le immagini, la propria identità, nascondono anche il bisogno di essere riconosciuti dai propri “simili”e di ricevere apprezzamenti.. Fin qui non ci sarebbe in fin dei conti nulla di male: tutti siamo un po’ narcisisti e desideriamo i complimenti e l’apprezzamento degli altri, anche perché la nostra società è molto basata sull’immagine e pochissimi riescono a sottrarsi a questo tipo di condizionamento. Quando però la situazione può sfuggire di mano e toccare i confini della patologia?

L’APA (American Psychological Association) nel 2014 ha coniato il termine Selfitis che in italiano si traduce Selfite, per indicare l’ossessione all’autoscatto, il bisogno ossessivo compulsivo di scattare foto a se stesso e pubblicarle sui social network.

L’APA ha individuato una scala a tre livelli che permettono di graduare la gravità del disturbo: borderline, acuta e cronica: rientra nel quadro borderline chi fotografa sé stesso almeno tre volte al giorno ma che poi non pubblica le immagini su Internet. Rientra invece nei casi selfite acuta chi scatta almeno tre fotografie di sé stesso e le pubblica tutte online. Infine rientrano nei casi di selfite cronica coloro i quali provano la voglia incontrollabile di scattare autoritratti lungo l’arco dell’intera giornata pubblicando le foto su Internet più di sei volte al giorno.

Aldilà delle possibili “etichette”, la riflessione principale, a cui vorrei invitare, riguarda il fatto che i selfie non sono dannosi di per sé. Così come per qualsiasi altra tecnologia, hanno una loro funzione positiva dosando tempi e modi di utilizzo.

A volte basta poco per uscire da quel meccanismo un po’ distorto.

Anteporre la vita vissuta a quella virtuale, impegnandosi in qualcosa che appassiona veramente e coltivando sane e vere relazioni nella quotidianità, è sicuramente il modo migliore di affrontare questo problema che, anche se non gravissimo (eccetto in casi estremi), alla lunga rischia di legarci ad uno schema distorto su noi stessi e su chi siamo e quanto valiamo, impedendoci di tirar fuori le nostre potenzialità.

Articolo a cura della dott.ssa Sonia Pignataro

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