“Soli mai”: la sindrome dell’abbandono
“Non mi amerà per sempre”, “e se mi lascia? “, “ho paura … non lasciarmi da solo”: sono questi i pensieri che affliggono, in maniera invasiva, le persone che convivono con l’angoscia da abbandono, un’angoscia che spesso ha radici lontane.
Probabilmente è capitato a ciascuno di noi, almeno una volta, di gridare queste parole o di lasciare che “balenassero” nei nostri pensieri, ma nelle persone che vivono nel terrore di essere abbandonati, la percezione di essere soli è altissima anche in compagnia di altre persone e soprattutto, non essendo gestita in maniera razionale, finisce spesso per prendere il sopravvento, assumendo i connotati di una vera e propria sindrome dell’abbandono e comportando tutta una serie di conseguenze per la loro vita relazionale (lavorativa, amicale, sentimentale).
Come riconoscere la sindrome dell’abbandono?
La sensazione è di essere emotivamente dipendenti dall’altro e la convinzione di base è di non essere in grado di prendersi cura di sé da soli, motivo per cui si ha la necessità che sia qualcun altro a farlo. Si ha il terrore che l’altro possa andare via o morire e che ciò che funziona nella propria vita relazionale, da un momento all’altro possa finire, facendoci sprofondare nella solitudine; per tali ragioni, risultano intollerabili anche le separazioni temporanee. La paura dell’abbandono può interessare sia i bambini che gli adulti.
Come si manifesta nel BAMBINO?
Nei bambini, si parla di “ansia da separazione”, che se eccessiva può tramutarsi in “disturbo d’ansia da separazione”, ma la differenza, rispetto all’adulto, sta nel fatto che il bambino ha l’esigenza di essere accudito da una figura matura. Il bambino avrà una grande difficoltà a stare in qualunque luogo che richieda una separazione dalle figure genitoriali e dunque, in età evolutiva, innanzitutto a scuola, ma anche a casa quando i genitori escono o quando si va a dormire nella propria cameretta. Sono frequenti incubi connessi alla separazione e la comparsa di sintomi fisici legati all’anticipazione cognitiva della separazione (per esempio, dolori di stomaco quando il bambino sta partendo per una gita che lo allontanerà da casa fino a sera).
Da dove nasce la sindrome dell’abbandono?
Spesso la solitudine affettiva avvertita dai soggetti che temono costantemente l’abbandono, deriva da esperienze traumatiche che danneggiano il bisogno di autonomia-dipendenza, quali, lutti o separazioni non elaborate, altre volte ha le proprie radici nell’infanzia, nella relazione con genitori incuranti del benessere emotivo dei propri figli, anaffettivi, chiusi, ansiosi, depressi, eccessivamente critici o incapaci di ricoprire il proprio ruolo, motivo per cui i figli vengono investiti di responsabilità che non gli appartengono. Accade così che il piccolo, non sentendosi sostenuto nei suoi primi passi verso l’autonomia, non potrà far altro che “sentirsi solo”, continuando ad avvertire questa sensazione anche in età adulta.
Come si manifesta nell’ ADULTO?
In età adulta, quella parte bambina trascurata emotivamente, continuerà a prevalere richiedendo cura ed attenzione alle persone vicine, senza che si raggiunga la consapevolezza che quel vuoto affettivo può essere colmato dall’adulto che si è diventati. Nel rapporto di coppia, vissuto nell’ansia di essere lasciati, sono piuttosto comuni tutta una serie di condotte malsane ed immature, finalizzate ad esorcizzare la paura dell’abbandono, quali:
- controllo continuo
- gelosia eccessiva
- ricatti morali
- manipolazione
- desiderio di possesso
- all’opposto, ci si può mostrare esageratamente forti e falsamente autonomi.
Altre volte la paura dell’abbandono si manifesta nell’impossibilità di mettere fine a delle relazioni riconosciute come dannose, ma indispensabili per non sentirsi soli. Nei casi in cui si è vittime di abbandono precoce, l’individuo stesso diviene colui che abbandona nel tentativo di evitare il dolore di essere abbandonato.
In situazioni estreme, si sviluppano forme di dipendenza patologica, la cui natura è fortemente legata al contesto educativo e sociale in cui si è cresciuti e alle risorse economiche, psicologiche e fisiche di cui si dispone. Nell’attuale società del consumo, sono frequenti lo shopping compulsivo o la dipendenza da sostanze stupefacenti, psicofarmaci e alcol, cibo; in alcuni casi, sono invece il lavoro, le condotte sessuali, il gioco d’azzardo o gli sport estremi a divenire fonti di dipendenza.
Sei indicazioni per superarla:
- prendere coscienza della propria ansia, imparando a riconoscerla e ad accettarla: diventarne consapevoli è infatti già un grande passo verso il cambiamento. Può essere utile analizzare in maniera razionale le circostanze in cui il terrore dell’abbandono ci ha sopraffatto, cercando di capire come ci siamo sentiti emotivamente e fisicamente e valutando, eventualmente con l’aiuto di un terapeuta, se episodi della propria infanzia possono essere responsabili delle odierne paure.
- incrementare la propria autostima, al fine di comprendere che possiamo e dobbiamo prenderci cura di noi stessi: una ricognizione delle risorse di cui si dispone e l’elaborazione di un piano d’azione da attuare per migliorare la qualità della propria vita, consentirà un graduale superamento del timore della perdita;
- imparare a vivere la solitudine come un momento speciale in cui ci si può dedicare a se stessi, provando piacere nel farlo. Pochi sanno infatti, che la parola solitudine non significa “mancante di”, ma “intero”, “unico”; ne consegue che anche se soli, abbiamo tutto ciò che ci occorre;
- circondarsi di persone affidabili, soprattutto nelle relazioni sentimentali; è altresì importante non annullarsi per compiacere l’altro, ma mantenere viva la relazione attraverso uno scambio che sia reciproco;
- cercare di godere del “qui ed ora”, evitando continui ritorni al passato o proiezioni al futuro: gioire per ciò che ci fa stare bene in “questo momento”, ci metterà al sicuro da ansie anticipatorie. Barthes afferma che “la paura della perdita è come fosse una perdita già avvenuta, perché non permette di vivere il qui ed ora della relazione, ma proietta quest’ultima nel passato abbandonico ed in un futuro simile”.
- costruire o rintracciare in se stessi quelle qualità che tendiamo ad attribuire ad altri, così da non sentirsi persi nel momento in cui una relazione significativa finisce. È indispensabile infatti comprendere che la paura di essere abbandonati e l’esigenza di affidarsi all’altro, è inversamente proporzionale alla possibilità di poter contare su noi stessi.
Peter Schellenbaum, in “La ferita dei non amati”, scrive: “Il vostro cattivo amore per voi stessi, fa della vostra solitudine una prigione”.
Scritto dalla Dott.ssa Sara Belli per Benessere4u