Affidamento condiviso ed esclusivo: quando la volontà, oltre che il benessere del minore, incide sulle decisioni del giudice
L’istituto dell’affidamento del minore, in fase di separazione e divorzio, opera sempre nell’ottica di tutelare il minore coinvolto nella separazione dei propri genitori. Il legislatore ha inteso dettare misure tali da rendere pienamente operativa la possibilità di crescere e mantenere un costruttivo rapporto ad una propria famiglia, anche in determinate situazioni di crisi e rottura. Il diritto alla bigenitorialità e al benessere dello sviluppo del minore è diventato negli anni sempre più importante per il legislatore, il quale ha introdotto una serie di strumenti con l’intento di determinare le situazioni idonee per crescere e ad essere educato nell’ambito della propria famiglia. Nel conseguire detto intento il legislatore impone, in termini generali, al giudice di adottare quei provvedimenti che possano permettere al minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.
Per conseguire tale risultato è previsto che in caso di separazione dei coniugi e anche di separazione di fatto il giudice valuti in via prioritaria che il minore venga affidato ad entrambi i genitori.
Tale forma di affidamento viene quindi ritenuta, in via generale, lo strumento più idoneo per garantire l’interesse del minore ad un sereno sviluppo.
Resta comunque fermo il potere del giudice, in via residuale, di disporre l’affidamento ad uno solo dei genitore qualora l’affidamento ad entrambi possa risultare contrario all’interesse del minore.
In ordine ai provvedimenti del giudice, poco contano le responsabilità di uno dei genitori nella crisi, esula l’aver contribuito a rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza a meno che, l’atteggiamento del coniuge contrario ai doveri nascenti dal matrimonio non sia anche espressione di una inidoneità educativa che non può non avere riflessi sul piano dell’affidamento. In tali casi, il giudice deve tener conto sia la tutela della bigenitorialità, sempre nell’ottica di garantire al minore e la sua crescita, ma anche il suo benessere psicofisico, permetettendogli di crescere in un ambiente che gli dia modo di esprimere a pieno le proprie esigenze. La bigenitorialità diviene quindi principio insopprimibile sia dei figli che dei genitori, i quali conservano un interesse diretto a mantenere un rapporto costante con i figli, alle cui scelte di vita essi devono partecipare in modo significativo. (per approfindire il tema della bigenitorialità leggi anche La bigenitorialità: dinamiche ed aspetti psicologici sottostanti).
In virtù del favor legislativo verso l’affidamento condiviso, UNA SUA ESCLUSIONE PUO’ ESSERE DETTATA SOLO DA CIRCOSTANZE PARTICOLAMENTE GRAVI, integranti casi limite. Tutta sulla derogabilità alla concessione dell’affidamento condiviso esiste nei Tribunali una grande confusione dettata per lo più dall’assenza di parametri ostativi prestabiliti e dall’esistenza di pronunzie dei giudici di merito e, soprattutto, di legittimità assolutamente contrastanti tra di loro. Di fatto, vi è ampia discrezionalità del giudice, dettata forse anche dalla diversità delle situazioni che questi si trovano ad affrontare, di volta in volta. Propria a causa di detta peculiarità, non è insolito che il Tribunale decida di utilizzare professionisti, al fine di adottare i provvedimenti inerenti alle modalità di affido della prole.
Nel dirimere dette situazioni articolate, assume particolare rilievo IL RIFIUTO NETTO del minore alla frequentazione con uno dei genitori. Perché venga preso in considerazione detto rifiuto, questo deve essere palesato in modo chiaro, preciso, sereno e spontaneo e che risulti opportuno assecondare anche in virtù dell’età del minore.
Dunque i criteri sono precisi e rigidi ed hanno un forte legame con la volontà, oltre che l’età, ovviamente, compito del giudice sarà quello di accertare se la volontà del minore corrisponde, effettivamente, al suo interesse e verificare se il rifiuto del minore non sia invece frutto di un fattore esterno alle proprie esigenze, come ad esempio il condizionamento del minore da parte di un genitore.
Anche gli aspetti psicologici devono, ovviamente, essere presi in considerazione, come ad esempio in caso di segnali della sindrome di alienazione genitoriale. Quando ad esempio la figura di uno dei genitori viene continuamente svilita, demonizzata e svalorizzata dal genitore alienante, atteggiamento che può generare in capo al minore una serie di disagi e segnali tra cui il più pericoloso, il netto rifiuto ad intrattenere rapporti con il genitore alienato. Ulteriore questione problematica inerente alla funzionalità dell’affidamento condiviso si realizza quando viene a mancare o è del tutto assente lo spirito collaborativo tra i genitori. In tal caso, la situazione deve essere valutata con particolare attenzione da parte del giudice anche se, la difficoltà di comunicazione, non è di per sé sufficiente ad escludere tale forma di affidamento a meno che non traduca in una impossibilità oggettiva di adottare qualsiasi decisione nell’interesse del minore. L’istituto opera per mantenere e imporre corresponsabilizzazione dei genitori e l’assunzione di un compito educativo pieno, al fine di escludere o di tutelare il minore dai rancori e le ostilità che possono svilupparsi tra i due ex coniugi.
Il giudice in assenza della necessaria collaborazione tra i genitori dovrà prendere atto dell’assenza della corresponsabilizzazione e emettere i necessari provvedimenti a tutela del minore, anche derogando alla concessione dell’affidamento condiviso, come ultima ratio.
Ciò detto si deve specificare che una delle ragioni che possono portare ad una esclusione dell’affidamento condiviso risiede nella mancanza di maturità e/o consapevolezza da parte dei genitori circa l’importanza per il minore di crescere in modo armonico educato ed assistito da entrambi.
Di fatto l’estrema conflittualità diventa elemento residuale per l’esclusione dell’affidamento condiviso, salvo che questi non manifestino livori, pregiudizi o rancori personali tali da concretizzare un’inidoneità per il ruolo affettivo ed educativo che devo assumere, anche se separati. In presenza di dette situazioni solo l’affidamento esclusivo della prole all’altro genitore sarà la soluzione che meglio potrà garantire il sereno sviluppo della personalità dei figli stessi.
Da ciò si evince che la conflittualità diviene motivo ostativo alla concessione dell’affidamento condiviso solo se è si traduce in inidoneità genitoriale. La mera conflittualità, che può svilupparsi successivamente alla separazione tra i due genitori, di per sé non può essere motivo sufficiente per ritenere contrario all’interesse dei figli il loro affidamento ad entrambi i genitori.
Ciò perché far dipendere il primario diritto dei figli alla mera qualità dei rapporti tra i genitori vanificherebbe l’intento del legislatore a garantire il rapporto con entrambi gli adulti. Diversamente quando la conflittualità sia l’espressione di un atteggiamento totalmente immaturo ed irresponsabile di uno o genitore che palesa, il giudice potrà che escludere tale genitore dall’affidamento previa motivazione specifica nell’interesse del minore.
Oltre a quanto sopra esposto, il giudice dovrà poi tener conto che esistono ulteriori condizioni e situazioni che possono risultare ostative alla concessione dell’affidamento condiviso che rendano sconsigliabile nell’interesse del minore il ricorso ad una forma di affidamento bigenitoriale.
La giurisprudenza ha affrontato e affronta quotidianamente numerosi e peculiari problemi relativi alla tutela dell’interesse esclusivo del minore alla stabilità e il diritto di avere una relazione significativa e costante con entrambi i genitori, adoperandosi per garantire sempre il migliore risultato possibile, previa adozione dei necessari provvedimenti nella consapevolezza che molto dipende dall’atteggiamento collaborativo e fattivo degli “ adulti”.
Articolo a cura della Dott.ssa Cristina De Angelis, avvocato