Covid-19: tra incertezza e disorientamento
Il 30 gennaio vengono accertati i primi due casi di Covid-19 in Italia e da allora la nostra vita è andata avanti tra aperture e restrizioni, tra speranza e incertezza.
Inizialmente, tra la confusione generale e un’informazione contraddittoria, siamo rimasti in attesa di capire l’entità del problema, i cui contorni si sono delineati nel tempo, trovandoci comunque impreparati, noi, il Sistema Sanitario Nazionale e gli organismi preposti. Il forte stress mediatico a cui siamo stati (e siamo ancora) sottoposti, anziché rassicurare dando risposte chiare e comprensibili, ha diffuso in maniera affannosa informazioni molto spesso approssimative, false o fuorvianti, contribuendo a creare, oltre ad una pericolosa disinformazione, anche un forte senso di disorientamento e sfiducia. Tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha coniato un nuovo termine, appropriato al contesto: INFODEMIA, ovvero «una quantità eccessiva di informazioni su un problema che può diffondere disinformazione durante un’emergenza sanitaria, ostacolare un’efficace risposta sanitaria e creare confusione e sfiducia tra le persone».
Ne consegue che, nelle battute iniziali di quella che sarebbe a breve diventata pandemia, l’emozione prevalente è stata la paura, accompagnata da ansia e preoccupazione.
Paura per la salute, propria e altrui; indotta dal non avere né informazione adeguate né controllo su un nemico piccolo e invisibile; paura di non essere al sicuro dal contagio.
I mesi del lockdown, per chi ha avuto la fortuna di non ammalarsi, di non subire lutti e di mantenere un posto di lavoro nonostante le difficoltà, hanno caratterizzato un’esperienza di grande sacrificio collettivo, scandita, però, da un limite temporale e alleviata da uno spirito di solidarietà condivisa.
Paura, ansia e preoccupazione sono emozioni con una forte valenza adattiva e, in effetti, ci siamo adattati, abbiamo costruito nuovi schemi, ci siamo riorganizzati nei pensieri e nei comportamenti, prestando ascolto alla nostra dimensione soggettiva, che ha predisposto ciascuno di noi ad affrontare al meglio un evento non previsto né prevedibile. Seppur fragili, abbiamo sfruttato al meglio il tempo, facendo tesoro di quello che siamo stati costretti ad imparare (per approfondimenti consulta il seguente articolo Come affrontare il tempo dell’emergenza e della crisi) e consapevoli che l’estate ci avrebbe riconsegnato la “libertà di fare”. Così è stato, con attenzione e responsabilità, siamo tornati attivi nella dimensione personale e produttivi in quella professionale, con la percezione tangibile di poter tornare a vivere, a programmare a investire.
Oggi però, come da previsioni, viviamo la seconda ondata e le nuove misure di contenimento portano ad una sofferenza crescente che vede prolungarsi una situazione di stress già intenso, con ricadute negative e diffuse sullo stato di benessere psicologico.
Alla paura e all’ansia vanno ad affiancarsi la rabbia, la stanchezza e lo sconforto, rendendo difficile tollerare e gestire questo ulteriore freno all’attività e aprendo le porte ad una profonda incertezza sul presente e sul futuro. Tutto viene nuovamente messo in discussione: il lavoro, le relazioni, la salute, la scuola, la socialità, i progetti; ma stavolta non è uno stop generale e collettivo, ma una precarietà quotidiana, una libertà limitata e ristretta. Un equilibrio instabile, in cui quello che è valido oggi potrebbe non esserlo domani e, seppur travolti da tutti questi cambiamenti, abbiamo la sensazione di essere in stallo e di non poter gestire la situazione. Il bisogno di controllo è legato alla necessità di dare un senso a ciò che accade e in assenza di questo siamo costretti, nostro malgrado, a navigare nell’incertezza.
La mancanza di stabilità definisce l’incertezza, ma anche la precarietà.
Entrambe sono accomunate dall’impossibilità di fare o mantenere progetti nel medio/lungo termine. Condizione nota e largamente sperimentata dalle nuove generazioni che in questi mesi sta diventando una realtà molto più diffusa, ponendo un grande punto interrogativo riguardo a molteplici aspetti della vita. Non si tratta di saper gestire un rischio calcolato, perché se il rischio, anche se solo soggettivamente può essere stimato e quindi rassicurare, l’incertezza no.
L’incertezza ha a che fare con il bisogno di sapere cosa accadrà ed è questa mancanza che dal punto di vista psicologico è destabilizzante, in quanto non consente di vedere la riva, né quella che ci siamo lasciati alle spalle, né quella davanti a noi, poiché entrambe delineano un tempo e uno spazio dai contorni indefiniti.
Quella alle nostre spalle appartiene al “mondo che conosciamo”, al tempo che è stato e che molto probabilmente, proprio in virtù di tutto quel che è successo e sta succedendo, non tornerà uguale. Condizione questa che, seppur accettando il cambiamento, va a creare un profondo conflitto interno tra l’aspettativa di ritrovare quello che c’era prima e la sempre più consolidata possibilità che così non sarà, almeno non in tempi brevi. Quella davanti a noi non riusciamo a metterla a fuoco, perché ancora troppo lontana. Servirà tempo per adattarsi al nuovo scenario, alle nuove condizioni e per capire come cambieranno le nostre aspettative, i nostri sogni, i nostri progetti.
Navigare nell’incertezza genera molta stanchezza, sia mentale che emotiva e sta portando ad una progressiva fragilità sociale. L’indicazione più frequente che arriva dalla comunità scientifica per mantenere un buon equilibrio psicologico è quella di allenare la RESILIENZA, sia a livello individuale che sociale. La resilienza è “Un processo dinamico dove le persone mostrano un adattamento comportamentale positivo quando si trovano a dover fronteggiare un’avversità significativa o un trauma” (Luthar, Cicchetti e Becker, 2000).
Essere flessibili quindi, per adattarci a circostanze che cambiano velocemente, tollerando un certo grado di incertezza.
C’è però da considerare un importante elemento alla base della resilienza, IL SENSO DI COERENZA, ovvero la comprensione di quello che accade, che ci aiuta ad accrescere la sensazione di controllo sull’evento e la sua gestibilità, in termini di strategie costruttive adottabili, volte ad attutirne l’impatto sulla nostra vita. Se comprendo l’evento e sento di poterlo gestire, posso anche affrontarlo.
Questo percorso rafforza l’idea che ciascuno ha di sé come persona capace di gestire i momenti di crisi, permettendo a ciascuno, in maniera soggettiva, di trovare un senso positivo a quanto accade.
Così descritta, la resilienza sembra essere di difficile attuazione se applicata all’attuale emergenza sanitaria, poiché il senso di coerenza non può essere pienamente soddisfatto. Come accennavo prima però, essere flessibili vuol dire anche tollerare un certo grado di incertezza, che si traduce nell’accettare l’inesistenza di una risposta rapida e definitiva e concentrarsi sulla risoluzione di quello che si comprende, con un occhio sempre vigile su quello che accade nel frattempo. Questo approccio non equivale a un “far finta di nulla” o a un evitamento difensivo, al contrario è uno strumento che, riducendo i pensieri fissi e i comportamenti disorganizzati, permette a noi di recuperare la serenità necessaria e impedisce all’evento di interferire con tutto ciò che facciamo. La resilienza rinforza il nostro potere d’azione ricordandoci che, pur non potendo capire pienamente o cambiare gli eventi, possiamo esercitare un controllo sulle nostre reazioni.
La resilienza sociale, intesa, come forza d’animo condivisa che rende sostenibili le avversità, ci ha accompagnato nei mesi passati, quando tutti vivevamo la stessa identica situazione di isolamento.
In questa nuova fase, che ci vede adottare misure restrittive diverse, c’è la percezione di una resilienza sociale in cui viene meno la condivisione a favore di una dimensione individuale. Questo si ripercuote sulla necessità fondamentale di affrontare insieme le sfide con l’obiettivo di superarle.
Il distanziamento si misura in metri quadrati, non in confini psicologici.
Allentare i rapporti sociali andrà a rinforzare sentimenti come la diffidenza o la solitudine, per questo è importante incoraggiare e salvaguardare le relazioni. In un secolo che fortunatamente ci fornisce una molteplicità di strumenti di connessione, abbiamo bisogno, soprattutto in questo momento di distanziamento, di mantenerci sociali, di stabilire legami che ci avvicinino l’un l’altro, dandoci la possibilità di trovarci uniti e sostenerci a vicenda.
Articolo a cura della Dott.ssa Nicoletta Remiddi