Pandemia psicologica: tra ansia e paura
Pandemia psicologica. È questo il termine che negli Stati Uniti viene usato per definire la condizione in cui oggi molte persone si trovano: ansia, insonnia, disturbi del sonno, pensieri disfunzionali, paure legate al futuro, confusione.
È passato quasi un anno dal 9 Marzo 2020, il giorno in cui abbiamo cominciato a fare ricorso alle nostre riserve emotive, in risposta all’emergenza. Andrà tutto bene. Lo abbiamo scritto ovunque e ripetuto a gran voce dai balconi, sussurrato ai bambini impugnando con loro i colori, mormorato tra le labbra prima di addormentarci, dopo ogni tg coi report sull’andamento dell’ondata virale o i DPCM che annunciavano un prolungamento del lockdown.
Abbiamo atteso la fine dell’ondata e stretto i denti nell’attesa di un ritorno alla consuetudine, mangiando di più, recuperando qualche contatto, trascorrendo più tempo coi bambini. L’estate è sembrata a molti un assaggio di normalità, la speranza che il peggio fosse passato e il nemico più lontano. Al contrario delle aspettative, con la seconda ondata, l’avversario si è avvicinato, bussando a ogni porta, si è seduto tra noi.
Quello che era un periodo di attesa si è trasformato nella necessità di imparare a convivere con l’ignoto.
Come difendersi dalla paura di ciò che non possiamo vedere, prevedere, né controllare?
La risposta adattiva è uno stato d’allerta, il tentativo di utilizzare le proprie energie per provare a mantenere sotto controllo la situazione di pericolo.
Ciò consente di mettere in atto una serie di comportamenti tesi a prevenire e monitorare i rischi (eustress o stress positivo). Quando però l’allerta convoglia la maggior parte delle energie personali e diventa la modalità costante di affrontare il quotidiano, può generare un aumento nella percezione reale del pericolo e condurre a una sovrastima dei rischi.
Di fronte a questa percezione, la persona sentirà la necessità di esercitare un maggiore controllo, incrementando così il suo stato d’allerta, allargandone il campo (distress o stress negativo).
Si genera così un circolo vizioso che anziché calmare la persona, aumenta la paura e dissipa le sue energie attraverso sintomi quali: ansia generalizzata in situazioni comuni, tensione costante, sensazione che qualcosa di brutto possa accadere, paura della solitudine, rabbia immotivata, scarsa empatia verso presunti “untori”, aumento nel consumo di calmanti, pensieri disfunzionali e in alcuni casi, panico. Questi sono solo alcuni dei sintomi che le persone (siano essi adulti o bambini) hanno manifestato, tutti riconducibili a disturbi d’ansia e panico.
Non mi concentrerò, in questo articolo, sulle difficoltà di chi ha dovuto affrontare il dolore della perdita e il trauma della malattia sua o di un caro, ma su chi, pur non avendone dovuto affrontare le conseguenze dirette, deve gestire gli effetti collaterali che la pandemia ha sollevato.
Stime dimostrano un aumento progressivo nelle richieste d’aiuto psicologico durante questa seconda ondata virale. Il virus ci ha resi più vulnerabili, in molti casi ha scoperchiato vasi di Pandora, lasciando che le nostre paure e i nostri bisogni venissero allo scoperto, ha messo di fronte a problemi concreti per la gestione della vita quotidiana, limitato la progettualità per il futuro e ridotto i momenti di svago.
Se questo è vero per tutti dobbiamo però ricordare che, come il virus può avere effetti più dannosi su persone con patologie pregresse, questo stato d’allerta può tradursi in crisi vera e propria in coloro i quali vivono all’oscuro di se stessi o hanno una scarsa rete sociale.
Cosa fare?
La vulnerabilità ci rende liberi, liberi di cambiare direzione, liberi di fare nuove scelte. Quando ci sentiamo esposti siamo anche capaci di sentire le emozioni, toccarle, accoglierle, capirle, legittimarle.
La vulnerabilità è un’occasione per dirci chiaramente la verità su noi stessi, capire dove ci siamo incastrati, esplorare nuove possibilità.
Il lavoro con uno psicologo, in situazioni come queste, può accompagnare la persona in questo processo di autoesplorazione e autoconsapevolezza, per imparare a ridefinire obiettivi e priorità.
Esercizi per tutti
Oltre alle raccomandazioni ministeriali che ormai conosciamo tutti e che mirano all’adozione di comportamenti responsabili, ci sono una serie di esercizi che tutti possiamo svolgere, prendendoci cura della nostra emotività:
• Viviamo un giorno alla volta
Sembrerà banale, ma allenarsi a vivere nel qui e ora serve a concentrare l’attenzione su ciò che c’è anziché su quello che manca, evitando ansie anticipatorie e limitando pensieri catastrofici sul futuro. Bisogna imparare ad affrontare le cose quando si presentano.
• Domandatevi: “Chi controlla chi?”
Siamo noi a gestire i pensieri o loro gestire noi? Poniamo un limite alla velocità con cui i pensieri ostacolano le attività che ancora possiamo svolgere. Razionalizziamo.
• Allenate la curiosità
Se non possiamo viaggiare con i mezzi, possiamo sfruttare il potere della mente. Incuriositevi di cose nuove, fate le stesse cose in modi diversi, create nuove passioni. Esplorate nuovi livelli di pensiero.
• Sognate
Parliamo sempre di obiettivi da raggiungere, realistici, tempificati, misurabili. Possiamo però ritagliarci uno spazio astratto entro cui liberarci dal senso di dovere e responsabilità.
Quanto libera la possibilità di sognare? Quante volte l’impossibile si trasforma in probabile e infine, inevitabile?
Articolo a cura della dott.ssa Sonia Pignataro