organo bersaglio

I disturbi psicosomatici: quando l’organo bersaglio è il CUORE

“Muoio di crepacuore”, “Sento una morsa al cuore”, “Ho il cuore in gola”… queste sono solo alcune delle numerose espressioni popolari comunemente utilizzate quando si è in preda ad una forte emozione e che testimoniano lo stretto rapporto tra cuore ed emozioni.

Il Cuore è l’organo vitale per eccellenza: esso agisce come una pompa meccanica che, attraverso continue contrazioni (sistole) e rilasciamenti (diastole) scandisce il ritmo esistenziale di ciascuno di noi; è il motore del nostro organismo e simbolicamente, rappresenta il centro dell’affettività.

I saggi dell’antico Egitto lo concepivano come il punto di fusione tra mente e corpo (psichico e organico), oggi, in Oriente come in Occidente, viene assimilato al sole, per il loro comune rimando a concetti quali, l’amore, la creatività, la luce, la totalità, l’eternità.

Il cuore ha sempre un legame con una situazione emozionale, ragione per cui i disturbi psicosomatici a carico dell’apparato cardiocircolatorio sono sempre collegati alla sfera intellettiva ed emotiva dell’individuo.

Eppure, nonostante l’effetto delle emozioni sul corpo sia stato riconosciuto sin dall’antichità, ancora oggi, in alcuni ambienti scientifici, si continua a mantenere la scissione mente-soma (corpo), distinguendo le malattie in due categorie:

le malattie “funzionali”, in cui vi è la compromissione di una delle principali funzioni vitali (respiratoria, cardiovascolare, motoria, ecc.), in assenza di una lesione a carico dell’organo coinvolto;

le malattie “organiche”, caratterizzate dalla presenza di lesioni a carico di uno o più organi (stomaco, polmoni, cuore, fegato, ecc .).

La Psicosomatica nasce nel tentativo di annullare tale divisione e si fonda su una concezione olistica dell’uomo, ovvero su una considerazione dell’essere umano nella sua totalità (fisica, psicologica e spirituale). È a partire da tale concezione che si sviluppa la medicina psicosomatica (ideata da F. Alexander (1891-1964), psicoanalista statunitense di origine ungherese), branca della medicina secondo cui ogni malessere psicologico hadisturbi-psicosomatici una ripercussione a livello organico e viceversa.

La malattia comincia così ad essere considerata non più solo come dolore, impotenza, ansia, ma è anche come un “messaggio che il corpo ci manda”. Attraverso la malattia, il corpo ci invita ad una presa di coscienza; di cosa? Di un conflitto irrisolto (spesso di natura remota) che il soggetto non riesce ad elaborare mentalmente e che quindi trova sfogo a livello somatico.

Cosa si intende per disturbo di somatizzazione o malattia psicosomatica?

La caratteristica comune dei Disturbi Psicosomatici (o Somatoformi) è la presenza di sintomi fisici che fanno pensare ad una condizione medica generale, da qui il termine somatoforme, e che non sono invece giustificati da una condizione medica generale o dagli effetti diretti di una sostanza o da un altro disturbo mentale.

Gli apparati più comunemente colpiti dai disturbi psicosomatici sono quello gastrointestinale, uro-genitale, muscolo-scheletrico, cardiovascolare, respiratorio e cutaneo.

Come si sviluppa un disagio psicosomatico?

Le malattie psicosomatiche sono l’espressione diretta della sofferenza emotiva attraverso il nostro corpo; esse costituiscono la somatizzazione di una conflitto, spesso affettivo, che il soggetto trova difficoltà ad affrontare e risolvere. Tali conflitti possono dar luogo ad una sintomatologia mentale (es. ipocondria, vertigini) o somatica (es. orticarie ricorrenti) oppure ad entrambe, in proporzione variabile. In genere la malattia si sviluppa lentamente sotto la pressione di un evento scatenante, quale può essere una grossa frustrazione o un dolore affettivo: per difendersi da tali emozioni, il corpo scarica il proprio disagio su alcuni organi, detti bersaglio. Può capitare a chiunque, nel corso della propria esistenza, di portarsi dentro un dolore non elaborato, di cui non si è consapevoli o con cui si pensa di poter convivere. A seguito di un evento scatenante (es. licenziamento, trasferimento, lutto, etc.), quel dolore può “riattivarsi” sottoforma di sintomi corporei, difficili da giustificare a livello organico (medico).

Il sintomo, si configura in questi casi come una rimagesisorsa preziosa, fungendo da campanello d’allarme rispetto ad una condizione di malessere trascurata troppo a lungo e bisognosa di essere presa in considerazione. Questo campanello ci avverte che è giunto il momento di fermarci e metterci in ascolto della nostra anima.

L’ambiente in cui l’individuo vive, ha un ruolo determinante nell’insorgenza del disturbo: la permanenza in contesti ansiogeni, aggressivi, competitivi o al contrario, repressivi, sottopongono il soggetto ad uno stress continuo che sostanzialmente rappresenta il nutrimento della problematica del soggetto, problematica che pian piano finisce per esplodere nella somatizzazione. Vi è quindi una difficoltà ad accedere al proprio vissuto emotivo, a percepire la rabbia, la frustrazione, la tristezza che si sta provando e quindi a comprendere la connessione tra la propria condizione psichica e il proprio disagio corporeo.

Cosa accade quando l’organo bersaglio è il cuore?

Le malattie psicosomatiche dell’apparato cardiocircolatorio sono causate da molteplici fattori, inclusi quelli relativi alle vulnerabilità costituzionali di tipo ereditario.
La somatizzazione a livello cardiaco risulta infatti essere associata ad uno specifico quadro di personalità; una serie di ricerche condotte al riguardo in diversi Paesi, hanno individuato due modelli di comportamento utili ad inquadrare i soggetti cardiopatici, il tipo A (competitivo) e il tipo B (cooperante). Da un’indagine condotta su oltre tremila soggetti risulta che le personalità di tipo A (descritte da Friedman e Rosenman, (1959) come persone dinamiche, mai ferme, con alta competitività, desiderose di dominare sugli altri, smaniose di successo a tutti i costi, incapaci di rilassarsi, con l’urgenza del tempo che scorre, con meccanismi di difesa psicologica quali il negare la malattia, l’insuccesso, le frustrazioni, ecc) sono colpite da infarto 4 volte di più di quelle di tipo B.

le-emozioniLe palpitazioni, le tachicardie, l’aritmia ed altre problematiche cardiache hanno a che fare con la fatica a gestire gli stati emotivi e soprattutto a dar loro la possibilità di esprimersi; esse riguardano gli sforzi fatti per riuscire a vivere una vita felice, specie in una società profondamente razionale come quella odierna, in cui il profitto sembra essere l’unica vera necessità e in cui siamo portati a credere che per essere considerati bravi bisogna lavorare molto, senza lamentarsi troppo e senza concedersi pause.

Un tratto tipico di chi tende a somatizzare a livello cardiaco è l’ipercontrollo dei sentimenti, come se il soggetto vivesse un incessante conflitto tra la testa e il cuore. I sentimenti, soprattutto quelli riferiti alla collera, vengono controllati o addirittura ignorati. L’iperteso tendenzialmente reprime molto, ma allo stesso tempo è un soggetto che ha molto, in termini di spinta energetica da investire nella vita, troppo probabilmente rispetto alla sua disponibilità a mettersi in gioco. E’ infatti da questo squilibrio che nasce il meccanismo che innesca l’aumento della pressione sanguigna. In molti cardiopatici ischemici vi è una profonda necessità inconscia di riscoprire l’importanza della vita emotiva, relegata ad un piano secondario dall’eccessiva valutazione della testa, vista come aspetto privilegiato della personalità.  Due cardiologi americani, Friedman e Rosenman, affermarono che il manager non ha l’infarto per l’eccessiva attività, ma molto più probabilmente per un bisogno di potere che non concede nulla al cuore. Il cuore dunque, si ammala a causa di una profonda sofferenza nel mondo degli affetti e di una rinuncia a vivere pienamente il proprio il mondo pulsionale.

Non solo una povertà affettiva, ma anche un’esuberanza emozionale potrebbe far implodere il cuore!

Le emozioni troppo intense, l’eccesso di piacere e le smodate passioni possono indebolire il cuore e generare le stesse tensioni cardiache di cui sopra. Si pensi alla paura: quando abbiamo paura, l’energia si blocca, il cuore pompa fortissimo e la respirazione si fa più intensa; in casi estremi si può perdere conoscenza, il che sta a significare che il cervello è stato privato dell’energia di cui necessita. Ne consegue che tutte le emozioni intense, come la paura, la collera, il senso di colpa e persino la gioia eccessiva possono danneggiare il cuore causando malessere generale. Al contrario, la tranquillità, la serenità, l’entusiasmo di vivere, giovano al funzionamento cardiaco, mantenendo il cuore  in salute.

Alcune indicazioni per  mantenere il proprio cuore giovane e in salute:

organi-ed-emozioniImparare ad “ascoltarlo”: attraverso i sintomi cardiaci, ma più in generale, attraverso tutti i sintomi psicosomatici, il corpo ci dice che gli manca un “centro esistenziale” intorno al quale organizzare la propria energia. Quando ci allontaniamo dai nostri veri bisogni e desideri, agendo in contrapposizione ad essi, il corpo ci comunica “il nostro senso di confusione” attraverso l’insorgenza dei sintomi, impedendoci così di fare cose che teme possano recarci danno. Riappropriarsi del proprio spazio e del proprio tempo, prestando attenzione ed accoglienza alle proprie fragilità, per comprenderle e superarle, è un primo passo da compiere per combattere quella “confusione” e tornare ad essere padroni della propria vita.

Vivere la vita con un po’ di leggerezza: la flessibilità, l’assenza di rigidità, il non imporsi schemi o regole fisse, favoriscono il buon funzionamento cardiaco. Al contrario, costringere il nostro cuore ad adeguarsi ai nostri ritmi, può alla lunga, risultare controproducente. Generalmente, chi ha problemi cardiaci tende ad affrontare la vita scandendo rigidamente i propri tempi (quello per il divertimento, quello lavorativo, quello per gli affetti), con un rigore che certamente non giova al cuore.  Al contrario, la capacità di vivere la vita come un percorso in cui indubbiamente le regole ed i punti fermi hanno la loro importanza, ma che allo stesso tempo necessita di altri ingredienti quali, l’accettazione del rischio, la capacità di coltivare quotidianamente la gioia, di accettare e sopravvivere ai dispiaceri che la vita ci riserva, può sicuramente aiutarci a salvaguardare il nostro cuore da possibili danni.

Non avere il timore di sbagliare e di soffrire: i cardiopatici tendenzialmente temono la sofferenza a tal punto da rinunciare ad agire, auto-boicottandosi e vivendo di rimpianti e pentimenti. La loro difficoltà nel mettere in comunicazione testa e cuore, li porta a vivere questa conflittualità in maniera amplificata, con conseguenze certamente non benefiche per il cuore. Il timore del fallimento, l’eccessiva rigidità nel modo di vivere, la mancanza di piacere in ciò che si fa o si sente e i pochi spazi riservati alla libertà e al relax, contribuiscono ad indebolire le energie del cuore che vengono trasformate in tensioni cardiache.

Intraprendere un lavoro personale di ricerca, per comprendere ciò che stiamo facendo “contro di noi” ed attuare una serie di cambiamenti nella nostra vita, lasciando andare ciò che crea tensione per  ritrovare la nostra vera natura.

Ristabilire una singola priorità attorno alla quale riordinare tutto il resto, almeno temporaneamente, fino a quando il nuovo ordine ricreato nella mente non verrà sentito anche dal corpo.

La soluzione della sofferenza psicosomatica, a prescindere da quale sia l’organo bersaglio, sta nel riconoscimento del nucleo patogeno che l’ha determinata.

Una volta valutato l’aspetto organico, medico del disturbo (mediante una diagnosi specialistica), sarebbe auspicabile pensare ad un percorso rivolto alla ricerca del benessere e della consapevolezza di sé, specie nei casi in cui la sintomatologia compromette seriamente il normale svolgimento delle attività quotidiane dell’individuo. Nei casi più difficili, in cui il sintomo impedisce al soggetto di vivere serenamente, sarebbe utile intraprendere un percorso di sostegno psicologico che aiuti la persona a scoprire le cause del suo malessere e le motivazioni inconsce all’origine del problema. Lo psicologo, inoltre, può essere di aiuto nell’allentare la tensione del corpo, insegnando alla persona “l’arte del sentire”: sentire il proprio corpo, sentirne la tensione ed imparare a rilassarsi, poiché il rilassamento è un passo indispensabile alla guarigione. È dunque importantissimo che si riesca a cogliere il senso profondo di ciò che il nostro corpo ci sta dicendo, il significato simbolico che quel messaggio ha per la nostra esistenza, affinché non lo si subisca passivamente, ma lo si sfrutti per modificare, fin dove possibile, il nostro stile di vita e di pensiero.

Articolo a cura della Dott.ssa Sara Belli

 

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