L’emotività di un bambino con DSA
Un Disturbo di Apprendimento incide pesantemente sulla vita scolastica e relazionale di bambini e ragazzi. Proviamo a riflettere: un bambino in età scolare trascorre buona parte della giornata a scuola e parte del tempo rimanente a casa per svolgere i compiti scolastici. E’ cioè continuamente messo di fronte ai suoi fallimenti e, nel peggiore dei casi, quando ancora non si è giunti a diagnosi, ai rimproveri, spesso perchè i suoi comportamenti richiamano nella nostra mente un atteggiamento svogliato e pigro.
Immaginiamo come ci sentiremmo se ogni giorno dovessimo svolgere un lavoro che ci riesce difficilissimo, per il quale ci impegniamo al massimo, impiegando risorse ed energie al di sopra dei nostri colleghi e nonostante questo non riuscissimo a produrre i loro stessi risultati, anzi fossimo continuamente ripresi dal nostro capo o team di lavoro. Credete riuscireste a tollerare a lungo il senso di impotenza e la frustrazione legati a continue esperienze di fallimento di questo tipo? Probabilmente comincereste a mettere in discussione la vostra persona, le vostre capacità, potreste arrabbiarvi con voi stessi, prendervela con chi vi sta intorno o cerchereste di cambiare lavoro per preservare la vostra salute.
Basta un esempio come questo per provare a mettersi nei “panni” di un bambino con uno o più disturbi specifici dell’apprendimento e comprendere quali siano le sfide a cui quotidianamente è sottoposto.
La diagnosi come nuovo inizio
Se è vero da una parte che la diagnosi rappresenta una risposta alle difficoltà del bambino e alla possibilità di avviare una serie di procedure, indispensabili al suo benessere scolastico, è anche vero che non può e non deve essere considerata un punto di arrivo, semmai un nuovo punto di partenza.
Come reagiscono i bambini alla diagnosi?
Difronte alla diagnosi il bambino, per un sano meccanismo di difesa personale, tende ad evitare le situazioni che lo mettono in difficoltà e ansia. E’ probabile, quindi, che il bambino in questione si rifiuti di leggere a voce alta in classe e a casa, non voglia fare i compiti e gli esercizi di potenziamento, cioè eviti nel complesso tutte quelle attività che gli ricordano esperienze di fallimento.
La modalità di evitamento può però variare a seconda delle caratteristiche peculiari del bambino.
Alcuni mettono in atto reazioni comportamentali di tipo esplosivo, cioè le reazioni di rifiuto possono essere molto intense fino ad arrivare anche a livelli importanti di aggressività. Spesso sono bambini che effettuano lotte furibonde con i genitori per non fare i compiti, cercando di passare il maggior tempo possibile in altre attività in cui si sentono capaci e forti.
Altri bambini, invece, possono manifestare reazioni comportamentali più di tipo implosivo, cioè rivolte verso di Sé. Ad esempio alcuni, quando si tratta di andare a scuola o al ritorno o al momento di fare i compiti, lamentano disturbi somatici, quali mal di testa, mal di pancia, nausea; altri si colpevolizzano in continuazione per le proprie incapacità tanto da sviluppare anche sintomi depressivi. Ci sono poi bambini per i quali la difficoltà rappresenta di per sé una leva motivazionale per impegnarsi e tirare fuori il meglio di se stessi.
È chiaro dunque come il conseguimento della diagnosi non risolva tutti i problemi: sicuramente permette di intervenire sui problemi di scrittura, lettura e\o calcolo, ma non bisogna tralasciare la cura della vulnerabilità psicologica che questo disturbo può portare con sé e offrire, quindi, al bambino una protezione dal rischio di forme di disadattamento. In questo discorso assume un’importanza fondamentale la diagnosi e la sua spiegazione al bambino.
Come intervenire?
Anche quando il DSA è riconosciuto, spesso mancano le parole per spiegare al bambino le sue diverse caratteristiche di apprendimento, i suoi lati deboli e i suoi punti di forza.
Rendere pienamente comprensibile ai bambini, anche ai compagni di classe, cos’è un DSA e cosa comporta, diventa un punto di fondamentale importanza. A questo scopo bisogna utilizzare parole semplici, che siano comprensibili ai bambini, a seconda della loro età. Bisogna cercare di far capire che le difficoltà non sono dovute a delle limitazioni del compagno, ma a un modo diverso di imparare che per questo necessita di metodi e strumenti diversi dai loro.
E’ fondamentale inoltre non far passare il messaggio che i DSA sono una malattia, ma spiegare che si tratta di un piccolo problema nella lettura, scrittura o calcolo, paragonabile a quello che un compagno miope può avere portando gli occhiali e che, con l’ausilio di adeguati strumenti, potrà essere superato. Le metafore sono un ottimo strumento mediante cui poter spiegare, in modo semplice ed efficace, concetti difficili attraverso parole accessibili ai bambini.
Parlare di DSA anche con i bambini che non hanno questo problema è importante per far in modo che la scuola diventi un ambiente facilitante e non avversivo al bambino con questo disturbo.
Una stima dell’Associazione Italiana Dislessia riporta come in ogni classe ci sia almeno un bambino dislessico, non sempre diagnosticato. E’ necessario dunque anche formare il gruppo classe al rispetto della diversità, all’accoglienza dell’altro e informarlo sulle caratteristiche di un Disturbo Specifico dell’Apprendimento per far sì che si abbiano le giuste conoscenze e si acquisiscano le competenze necessarie per evitare pregiudizi e l’esclusione del compagno in difficoltà. Infine è fondamentale saper creare uno spazio, basato sulla relazione, entro cui poter contenere dubbi, paure e lasciare che il bambino sperimenti un senso di piena accettazione di sé aldilà delle sue particolarità.
Articolo a cura della dott.ssa Sonia Pignataro