Mio figlio ha un DSA e non so più cosa fare

Capita sempre più spesso, quando si incontrano per la prima volta genitori di bambini con un Disturbo Specifico dell’Apprendimento, di dover fare i conti con l’emotività che accompagna la loro percezione della situazione, prima ancora di cominciare a parlare delle difficoltà reali del figlio.

Dopo un tempo più o meno lungo trascorso nel tentativo di comprendere i problemi del bambino e aiutarlo, arriva la diagnosi , una risposta alle tante domande che il genitore si era posto e che sembra portare un po’ di chiarezza a quella confusione.

La pazienza e gli sforzi compiuti per arrivare  fin lì, rendono difficile al genitore accettare che la diagnosi non rappresenti un punto di arrivo nel percorso di aiuto al bambino, semmai un nuovo punto di partenza.

Mi è capitato spesso di incontrare genitori confusi, stanchi e scoraggiati e constatare come la negatività di queste emozioni fosse direttamente proporzionale alla percezione di sé e alla motivazione scolastica del bambino.

L’emotività dei genitori mette infatti il bambino in uno stato di incertezza e allerta, che si manifestano attraverso comportamenti che a loro volta alimentano la preoccupazione del genitore, andando così a generare un circolo vizioso, una spirale di negatività.

A titolo di esempio vi riporto questa esperienza:

F., quarta elementare, torna da scuola e si rifiuta di pranzare, ha mal di pancia. I genitori insistono perchè mangi qualcosa e fanno pressione per capire cosa sia successo. F. comincia a vomitare, il genitore va in ansia e telefona a insegnanti e genitori per comprendere l’accaduto. Tutto il pomeriggio trascorre con F. sul divano per il mal di pancia, la madre al cellulare. Il giorno dopo F. non vuole andare a scuola perchè non ha fatto i compiti, la madre insiste e l’accompagna comunque mentre F. piange; la mamma torna e casa e sta male anche lei.

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Accompagnare i genitori verso la comprensione e l’accettazione del DSA del proprio figlio è importante tanto quanto il lavoro diretto con il bambino.

Ci sono genitori che nonostante la diagnosi continuano a credere che il proprio figlio sia solo indisciplinato, altri che provano ansia ogni volta che bisogna fare i conti con compiti pomeridiani, incontri con la scuola, visite di controllo. Altri ancora, non sapendo cosa fare, delegano completamente ad esterni.

Compito di uno psicologo che lavora in quest’ambito è accogliere queste emozioni, provare a scorporarle insieme, supportare il genitore nella comprensione delle dinamiche che si generano e soprattutto affiancarlo nell’imparare a farvi fronte attraverso l’acquisizione di tecniche e strategie quotidiane. Ciò favorirà la consapevolezza che restituisce potere d’agire, la percezione di poter gestire le situazioni, superando l’impasse.

Ogni genitore è una risorsa preziosa per il miglioramento del proprio bambino ed è importante sottolineare quanto sia

“importante imparare a vivere la relazione genitore-bambino sul piano della bellezza che essa può offrire, al di là dello studio e dei risultati scolastici” (G.LoPresti)

Articolo a cura della dott.ssa Sonia Pignataro

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