Psicodiagnosi: strumenti di lavoro e ambiti applicativi
Ognuno di noi, almeno una volta nella sua vita, ha ricevuto o riceverà una diagnosi: un lunedì mattina qualcuno seduto in uno studio ci dirà qualcosa che cambierà in qualche aspetto la nostra vita, in meglio o in peggio, che ci accompagnerà per un tratto della vita o per sempre e che, forse, varierà il nostro modo di guardare a noi stessi o al nostro futuro.
La parola diagnosi deriva dal greco e vuol dire “conoscere attraverso”.
È quindi un processo di conoscenza:
- di se stessi,
- del clinico e del paziente,
- della relazione tra la persona ed i sintomi che manifesta,
- che implica l’incontro con diverse figure professionali,
- che prevede l’incontro del soggetto con il suo corpo e con le sue emozioni.
Ogni persona ed il complesso mondo in cui è inserita devono quindi essere al centro dell’osservazione, in quanto ogni individuo è a sé, un universo tutto da scoprire, perciò ogni processo di valutazione va accuratamente costruito e tarato sulla persona che ci troviamo davanti, liberi da preconcetti ed idee pre-confezionate.
In psicologia, quando parliamo di psicodiagnosi intendiamo l’attività volta a individuare, valutare, descrivere e comprendere le caratteristiche più profonde che compongono e definiscono un individuo.
Prima di intraprendere qualunque tipo di percorso psicologico, è indispensabile circoscrivere e definire con la maggior precisione possibile la problematica della persona che ci troviamo davanti, ma anche il suo modo di funzionare ed agire, le sue risorse e le sue criticità, per avere una fotografia precisa della situazione e un quadro globale del suo funzionamento emotivo-cognitivo-relazionale.
Lo scopo è quello di individuare, nello specifico:
- i punti di forza e le aree di miglioramento di una persona;
- le eventuali manifestazioni patologiche;
- interessi e attitudini;
- livello di adattamento;
- stili e meccanismi di difesa;
- modalità cognitive;
- bisogni e necessità.
L’individuazione degli aspetti sopra riportati è estremamente utile al fine di:
- identificare e distinguere manifestazioni sintomatiche di stato (legate a un momento specifico e che differiscono dalla quotidianità della persona) o di tratto (caratteristiche relativamente stabili della personalità);
- poter valutare e progettare l’intervento terapeutico e/o di recupero più indicato.
La valutazione psicodiagnostica include differenti modalità:
- Colloquio clinico: la persona è libera di esporre le proprie difficoltà ed aspettative; il clinico utilizza un ascolto attivo-empatico per comprendere la persona nella sua complessità e raccogliere le informazioni, orientando la relazione;
- Raccolta dei dati bio/psico/sociali: è necessaria al fine di raccogliere tutte le informazioni indispensabili per avere una “cornice” entro cui collocare le difficoltà della persona e ottenere dati rispetto l’insorgenza della problematica ed a cosa è dovuto il mantenersi della stessa;
- Osservazione: è un complesso insieme di procedure adottate ed articolate sulla base di uno specifico modello di riferimento, prevede una determinazione di criteri di rilevazione relativi a:
- categorie osservative (cosa osservare, per quanto tempo, in quale contesto);
- modalità di registrazione (ausili audiovisivi, resoconti scritti liberi o compilazione di griglie);
- selezione, analisi e decodifica delle informazioni;
- Test: l’uso clinico dei test è un processo attivo e creativo, che lo psicologo deve costruire di volta in volta in modo diverso, per poter rispondere alla domanda di aiuto. I test psicodiagnostici includono test che valutano la sfera cognitiva; tecniche proiettive, che attraverso la presentazione di stimoli ambigui, cercano di cogliere le dinamiche interne; questionari self-report e report-form, volti a raccogliere informazioni, utili all’iter diagnostico, da diverse fonti; test di personalità, dove con personalitàci si riferisce ad un’organizzazione dei modi di essere, di percepire e di comportarsi, che rappresenta l’essenza delle differenze individuali.
La valutazione psicodiagnostica si conclude con un colloquio di restituzione, durante il quale il clinico condivide, nella misura e nella modalità più opportune per ciascuna persona, quanto emerso nel percorso valutativo.
Per aiutare la persona a capire meglio cosa le stia succedendo, lo psicodiagnosta fornirà al paziente sia una diagnosi così detta “descrittiva”, grazie all’utilizzo di modelli diagnostici internazionali, che una diagnosi “funzionale”, grazie alle informazioni ottenute circa gli aspetti emotivi-cognitivi-relazionali.
Da quanto emerso da queste attività deriva la decisione di prosecuzione del trattamento da parte del clinico che deve essere bilanciata, oltre che su quanto rilevato nel momento attuale, anche sulla possibile evoluzione dello stato in essere (prognosi) e sulle aspettative e gli obiettivi realistici concordati insieme alla persona, sul breve, medio e lungo termine.
La valutazione psicodiagnostica vede tra i suoi ambiti di applicazione più frequenti, in prima battuta, l’ambito clinico e psicopatologico, sia in relazione all’età evolutiva che all’età adulta, ma non si esaurisce qui, anzi interessa molti altri contesti:
- in ambito neuropsicologico, ha come obiettivo la valutazione del funzionamento cognitivo e neuropsichico di soggetti con diagnosi neurologiche di diverso tipo, in quanto a seguito di lesioni traumatiche/patologie vascolari/processi degenerativi/ecc…le abilità cognitive possono essere gravemente compromesse, con conseguenze che coinvolgono il comportamento, la sfera emotiva e le autonomie;
- in ambito giuridico-forense, si effettua a scopo legale, peritale o assicurativo e l’esito della valutazione viene solitamente impiegato dalle autorità giudiziarie o da commissioni medico-legali;
- nell’ambito della psicologia del lavoro, si impiega in riferimento alla selezione del personale ed alla valutazione delle competenze;
- in ambito scolastico, in interazione con la psicopatologia dell’età evolutiva, per la valutazione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) e di tutte le problematiche che impattano la permanenza nel contesto “classe”.
È importante ricordare e tenere SEMPRE a mente, che la diagnosi non è e non deve mai diventare “un’etichetta” attaccata al paziente, ma una descrizione dinamica di una modalità di funzionamento della persona, che si modifica e muta nel tempo.
Articolo a cura della Dott.ssa Chiara Grimaldi Lattari